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08/08/2018

 

19 luglio 1992-2018

di Irma Tatani

 

Il 19 Luglio del 1992 a Palermo in via D’Amelio, il giudice Paolo Borsellino era appena arrivato con la sua scorta per fare visita alla madre. Non fece in tempo a citofonare che un’autobomba esplose uccidendo il giudice e gli agenti della sua scorta. Quel giorno Palermo subì l’ennesimo boato e l’ennesimo attentato. La mafia ha colpito ancora. Purtroppo i palermitani erano abituati a questo genere di trattamento nei confronti di chi lottava per sconfiggere la mafia, che anno dopo anno diventava più pericolosa che mai. I giudici Falcone e Borsellino avevano capito la pericolosità di Cosa Nostra, pertanto decisero di combatterla pagando con la loro stessa vita. A distanza di ventisei anni emerge un nuovo scenario sui mandanti della strage di via D’Amelio. Infatti, a volere la morte di Borsellino è stata la trattativa Stato-mafia.

Con tale termine si definisce una negoziazione tra importanti funzionari dello Stato ed esponenti di Cosa Nostra portata avanti nel periodo successivo alla stagione delle stragi degli anni ’92 -’93 con lo scopo di far terminare le stragi. I protagonisti della trattativa sono: il politico Marcello Dell’Utri stretto collaboratore di Berlusconi, alti funzionari dello Stato appartenenti al Ros tra cui l’ex generale Mario Mori e Antonio Subranni e l’ex colonnello Giuseppe De Donno e boss mafiosi. A condurre le indagini sono stati i magistrati della Procura nazionale antimafia Nino Di Matteo e Francesco Del Bene. Secondo i giudici, i tre ufficiali hanno minacciato gli organi dello Stato per conto della mafia con lo scopo di costringere gli esponenti del governo ad utilizzare un comportamento più elastico nei confronti di Cosa Nostra. Il processo è durato quasi cinque anni, preceduto da altri cinque anni di importanti indagini. Il punto di partenza delle indagini riguarda gli “anni delle stragi” in cui avvennero diversi attentati ben organizzati da parte della mafia. Con tale denominazione si fa riferimento alle stragi di Capaci (23 maggio 1992) e via D’Amelio (19 luglio 1992) dove morirono i giudici falcone e Borsellino, l’omicidio del parlamentare siciliano della Democrazia Cristiana Salvo Lima, dell’imprenditore Ignazio Salvo, delle bombe a Firenze e Milano, le autobombe esplose a Roma e il fallito attentato contro il giornalista Maurizio Costanzo. Secondo i giudici, politici e carabinieri in cambio della fine delle stragi avrebbero offerto l’attenuazione del carcere duro per diversi mafiosi detenuti in prigione. La trattativa ha concesso diversi benefici alla mafia, infatti la prova principale è stato il mancato rinnovo del 41bis per ben 300 persone condannate per associazione mafiosa. Il 20 aprile del 2018 si è concluso il processo di primo grado sulla trattativa Stato-mafia in corso da cinque anni a Palermo. Sono stati condannati: Marcello Dell’ Utri a 12 anni di carcere, stessa pena è stata decisa per l’ex comandante dei Ros Mario Mori e l’ex colonnello Giuseppe De Donno. Il boss mafioso Leoluca Bagarella, già detenuto dal 1995, è stato condannato ad altri 28 anni. Mentre Antonino Cinà, mafioso e medico fedele di Totò Riina, è stato condannato a 12 anni di carcere. Massimo Ciancimino, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e calunnia nei confronti dell’ex capo della polizia Gianni De Gennaro, ha ricevuto una condanna di 8 anni di carcere. L’ex ministro Nicola Mancino, accusato di falsa testimonianza, è stato assolto. Il 19 luglio 2018, a distanza di ventisei anni dalla morte del giudice Borsellino, i giudici della Corte d’Assise di Palermo hanno depositato le motivazioni della sentenza della trattativa tra esponenti delle istituzioni e la mafia. Il provvedimento di oltre cinque mila pagine è stato depositato in 90 giorni esatti dal verdetto. Dalle motivazioni dei giudici emerge che: ”non c’è dubbio che quell’invito al dialogo pervenuto dai carabinieri attraverso Vito Ciancimino costituisca un sicuro elemento di novità che può certamente avere determinato l’effetto dell’accelerazione dell’omicidio di Borsellino, con la finalità di approfittare di quel segnale di debolezza proveniente dalle istituzioni dello Stato”. Paolo Borsellino è morto per la trattativa, il dialogo tra Stato e mafia ha contribuito ad accelerare il piano della sua eliminazione. Per Borsellino non era una novità, sapeva che dopo la morte di Falcone sarebbe toccato a lui. Prima di morire disse: ”mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri.” Inoltre era consapevole che lo Stato e la mafia sono due poteri che occupano lo stesso territorio. O si fanno la guerra, o si mettono d’accordo.

 

 

per scaricare il pdf: 1992-20118