18/02/2019
LA CRIMINALITÀ TRANSNAZIONALE NEL CROCEVIA DEI BALCANI: IL CASO DELLA BOSNIA ED ERZEGOVINA
di Michele Turzi
Quando si pensa ai Balcani e a paesi come la Bosnia ed Erzegovina in particolare, la prima idea che
viene evocata nell’immaginario collettivo è quella di una roccaforte per criminali e attività illecite
di vario tipo. Nelle prossime righe cercheremo di scoprire da dove derivi tale fama ed in particolare
se rappresenti ancora la realtà delle cose.
Il crimine organizzato appartiene per definizione a tutti quei contesti in cui si costituisce una
situazione di porosità dove le infiltrazioni criminali il più delle volte si intrecciano con interessi
economici e politici. Senza dubbio una definizione di questo tipo ricalca appieno la situazione di
stati in condizione di post-conflitto come quello bosniaco, ma nonostante questo lo si può ancora
identificare come un paese “nella morsa del crimine organizzato”? Negli anni ’90, con la
disgregazione della Jugoslavia, che ha originato quella sanguinosa stagione di conflitti intestini che
il vecchio continente sperava di essersi lasciato alle spalle per sempre dopo le due guerre mondiali
ad inizio secolo, i traffici illeciti su larga scala si erano diffusi enormemente. Attraverso il
coinvolgimento di gruppi e organizzazioni criminali dell’Europa sud-orientale si venne a creare
nella regione un crocevia fondamentale per il commercio globale di armi e munizioni, ed allo stesso
tempo per il traffico di droga, esseri umani e svariati altri beni di contrabbando. Numerosi rapporti
ed inchieste danno testimonianza del giro d’affari di quegli anni, in cui mondo politico e criminale
avevano stretto alleanze, nemmeno troppo velate, per raggiungere le rispettive finalità nel minor
tempo possibile, garantendosi il maggiore dei guadagni. Gli effetti di destabilizzazione della guerra
in Bosnia in questo sono esemplari e permettono di capire con che dinamiche il crimine organizzato
transnazionale abbia sviluppato le proprie reti e come tutt’ora continui a fruirne. In effetti, è tipico
della criminalità organizzata transnazionale stringersi in maniera indissolubile e imprescindibile con
il contesto geopolitico e socioeconomico in cui si radica. Negli stati cosiddetti “fragili” si osserva
sempre più spesso un insieme di condizioni tali per cui le bande criminali, approfittando
dell’instabilità e della fragilità istituzionale, finiscono per rivaleggiare e sostituirsi agli stessi
apparati statali. In tutto questo la criminalità organizzata, tanto per modalità quanto per prassi, altro
non fa che lasciare in dote a stati già fragili, che così finiscono per ritrovarsi ancor più indeboliti e
impoveriti, corruzione e pratiche di malgoverno. Questo processo, replicato e riscontrabile in varie
aree del mondo e in periodi diversi, viene rilevato con le sue peculiarità e singolarità anche nel caso
in questione. Il conflitto in Bosnia, come molti altri scoppiati nell’era del multipolarismo
conseguente alla caduta del muro di Berlino, è così emblematico di una tendenza alla
criminalizzazione degli scontri; una nuova dimensione in cui reti criminali, apparati statali e forze
paramilitari stringono alleanze o finiscono per scontrarsi violentemente. La componente criminale
in molti conflitti contemporanei, come le guerre in Caucaso o in Africa Occidentale solo per citare
altri casi più o meno noti, è risultata fondamentale sia nell’andamento delle ostilità che nel periodo
postbellico. Il filo rosso che lega conflitti, crimine organizzato transnazionale e traffici illeciti
appare dunque più che evidente fin da subito anche nella terra del giglio d’oro. Di certo non si può
dire che le economie criminali siano rimaste indifferenti davanti agli ampi spazi di intervento che
questa regione poteva offrire, in primo luogo per la rilevanza geostrategica di questa porta
d’Europa.
In tutti i paesi colpiti da conflitti, anche il traffico di esseri umani si aggiunge alle minacce per la
popolazione, rendendo altresì difficile ogni sforzo verso il ricongiungimento, della pace e della
stabilità. Al giorno d’oggi la Bosnia ed Erzegovina, oltre alle difficoltà di gestire la situazione post-
conflittuale in cui si trova, è un punto importante della tratta che, attraverso la penisola balcanica,
giunge in Europa. Trovandosi direttamente implicate nel transito di persone che da fuori fanno
ingresso nel paese per poi dirigersi verso altre destinazioni, il cui numero per l’anno 2018 ammonta
a più di 20.000 persone, le principali organizzazioni criminali presenti sul territorio sfruttano
contatti e conoscenze pregresse per beneficiare di questo nuovo tratto di rotta. La zona è da tempo
indicata dagli esperti per il transito di esseri umani, in particolare di giovani donne provenienti
anche da paesi vicini, e negli ultimi mesi anche per il flusso migratorio che attraverso Montenegro e
Serbia entra nel paese. Il know-how e l’expertise criminale per il traffico illegale di persone di fatto
si adatta perfettamente ai cambiamenti del contesto e in fretta permette a chi lo gestisce di poter
reinvestire le grosse somme di denaro che questa attività produce. Sfruttare le migrazioni, gestendo
in maniera illegale il passaggio delle persone migranti mediante i trafficanti è un’attività con cui i
gruppi criminali hanno da sempre una buona affinità, non solo in Bosnia e non solo in questo
particolare contesto. Le vie di trasporto delle vittime di tratta servono quindi anche per altre attività
come il commercio illegale di armi, il contrabbando di beni e il traffico di stupefacenti, che sono
ben presenti e radicate nell’area.
Il traffico di armi è direttamente connesso ed è una delle maggiori conseguenze della guerra degli
anni ’90, che portò nel paese ingenti riserve di munizioni ed ordigni. Gli arsenali accumulati
durante il conflitto che non sono stati confiscati o smantellati adeguatamente, sono divenuti in breve
tempo facile preda per i gruppi criminali della zona, permettendo loro di avere accesso a beni che
sul mercato nero valgono molti soldi e soprattutto ottimi contatti criminali a livello internazionale.
Armi da fuoco, mine ed esplosivi, insieme a enormi quantità di munizioni di vario calibro, vengono
smerciate principalmente in Europa Occidentale, dove i gruppi organizzati della Bosnia ed
Erzegovina, o di paesi vicini come Montenegro, Serbia e Albania, non hanno difficoltà a vendere su
di un mercato caratterizzato dalla frequente e costante domanda.
Il fenomeno del contrabbando di beni è allo stesso modo profondamente collegato con l’esperienza
del conflitto, nascendo in quegli anni ed esplodendo in quelli successivi durante il lungo periodo di
ricostruzione del paese e delle sue principali istituzioni. Le carenze governative ed istituzionali
risultanti dalla guerra in Bosnia hanno di fatto permesso anche il dilagare del contrabbando di
merci, quali per esempio sigarette, benzina o prodotti contraffatti.
Il mercato della droga è una delle più redditizie attività criminali, portata avanti da chi gestisce le
tratte in ingresso e in uscita dal paese. Il traffico di sostanze stupefacenti, che percorrono la rotta
balcanica da decenni in provenienza principalmente dalla vicina Albania o da paesi dell’area del
Medio Oriente attraverso la Turchia, veniva considerato nei primi anni 2000 come l’attività
criminale di maggior valore nell’Europa sud-orientale. Il flusso di droga verso il paese continua ad
essere importante, dato che non è più solo un punto di transito ma, anche se solamente in parte, una
piazza di smercio il cui consumo è in crescita. Le nuove rotte si sostituiscono a quelle più antiche e
note, dove le aree che hanno pagato il prezzo più alto del conflitto continuano a sentire il peso del
disagio sociale che la guerra ha generato e che così si traduce in una sempre maggiore domanda di
sostanze stupefacenti per il consumo locale.
Come detto, l’epoca del conflitto ha segnato in maniera indelebile l’economia del paese, legandola
inseparabilmente con il variegato tessuto criminale che l’ha abitata per lunghi tratti. Ciò premesso,
occorre anche saper superare l’idea ingannevole di una Bosnia paradiso per criminali di guerra,
trafficanti e contrabbandieri, e guardare in faccia la realtà. A supporto di questa idea vanno forniti
alcuni dei più recenti dati sul paese che, nonostante continuino ad indicarlo come uno snodo
importante per il transito e lo smistamento, da e per l’Europa, di molti traffici illeciti, suggeriscono
una lettura differente. In primo luogo, occorre puntualizzare che lungo la rotta balcanica,
quell’autostrada verso il vecchio continente percorsa ogni anno da uomini, armi, droga e merce di
contrabbando, i flussi economici generati non sono affatto calati ma persistono nel tempo
e la Bosnia ed Erzegovina non fa certo eccezione. È altrettanto vero che, chiusasi la stagione delle
ostilità, ciò che al momento sembra rappresentare la maggiore minaccia risiede in una pratica assai
più diffusa e all’apparenza meno ostile: la corruzione. Endemica e presente a tutti i livelli
istituzionali, essa rappresenta al momento il nuovo volto di quell’Idra di Lerna che è la criminalità
organizzata balcanica, che strizza l’occhio ai politici di oggi senza mai abbandonare il ricordo del
recente passato.
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