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L’Italia entra nella BRI: le conseguenze e lo scontro Cina-USA

di Gabriele Ferrara

Cos’è la BRI

La recente firma del Memorandum d’Intesa tra Italia e Cina ha rappresentato un passo importante per lo sviluppo della Belt and Road Initiative (BRI), rinominata Nuova Via della Seta in memoria delle rotte commerciali che dal II secolo a. C. al XIV d. C. hanno congiunto l’Asia orientale, in primis la Cina, alla Penisola Arabica e all’est del Mar Mediterraneo. Il materiale predominante di questi intensi scambi tra Oriente e Occidente era proprio la seta [1].

Adesso, invece, si tratta di un enorme progetto infrastrutturale avviato nel 2013 dalla Repubblica Popolare Cinese per il miglioramento dei suoi collegamenti commerciali con i paesi nell’Eurasia, cui ha seguito anche l’istituzione della AIIB (Asian Infrastructure Investment Bank, fondata a Pechino nell’ottobre 2014 e a cui hanno aderito già 93 Paesi, di cui il 60% sono lungo la Via della Seta). All’interno di questa grande banca internazionale, la Cina detiene il 26% di influenza nei processi decisionali, con l’India classificata al secondo posto con oltre il 7%, seguita poi da Russia (6%), Germania (4%) e Francia (3%). L’Italia si colloca leggermente sotto con il 2,5% [2]. L’obiettivo è rendere la Cina lo snodo centrale dei collegamenti lungo l’Eurasia.

Inizialmente, la BRI ha ricevuto uno stanziamento di 40 miliardi di dollari, salvo poi riceverne altri 100 nel 2017. I partner della Nuova Via della Seta abbracciano tutto il globo terrestre, eccezion fatta per il Nord America, per i motivi di cui si tratterà in seguito. Ci sono tre rotte terrestri che generano sei corridoi. La prima parte dal nord- est della Cina per arrivare all’interno dell’Europa fino al Baltico, toccando anche Russia e Asia Centrale. La seconda ha origine dal nord ovest della Cina, passando nuovamente per l’Asia centrale – in questo caso però è inclusa anche la zona occidentale del continente – e giungendo fino al Golfo Persico e al Mediterraneo. La terza, infine, prende avvio dal sud ovest della Cina e si prolunga fino all’Oceano Indiano incontrando anche l’Indocina.
Passando alle rotte marittime, invece, una inizia nel mar Cinese meridionale per spingersi fino al sud del Pacifico, mentre l’altra passa attraverso lo stretto di Malacca per poi arrivare in Africa e in Europa [3].
La Cina si è già mossa su più fronti. A questo proposito è interessante segnalare quanto riportato da Wall Street Italia, portale in cui si ricorda che, entro la fine di aprile 2018, “la Cina aveva stabilito 1023 gemellaggi con città lungo la Nuova Via della Seta,pari al 40,18% del numero totale di gemellaggi con città straniere in Cina”. Ancora, i progetti firmati hanno un valore contrattuale superiore ai 500 miliardi di dollari, mentre il volume totale delle importazioni e delle esportazioni della Cina e dei paesi lungo la Nuova Via della Seta tra il 2013 e il 2018 ha sfiorato i 6.500 miliardi di dollari [4].

                                                      Le implicazioni per l’Italia

Tornando al Belpaese, l’intenzione della Cina è quella di investire nel nostro sistema portuale, segnatamente a Genova, Trieste, Venezia e Ravenna, senza escludere necessariamente Palermo [5]. Queste infrastrutture occupano una posizione strategica di primo piano nel panorama europeo e adesso potrebbero finalmente esprimere tutte le loro potenzialità, finora rimaste prevalentemente inespresse, anche se occorre ricordare che gli accordi dovrebbero escludere la manodopera dei porti.

Gli accordi firmati da Italia e Cina lo scorso 23 marzo si pongono al di fuori del perimetro del diritto internazionale e hanno un valore di 2,5 miliardi di euro, con un potenziale di 20. L’Italia è diventata così il primo membro del G7 e fondatore dell’UE ad entrare nella BRI. La volontà è quella di avere collegamenti maggiori con i mercati asiatici, migliorando la qualità del sistema portuale e attirando investimenti dall’estero. In tal senso, è interessante riportare che nel 2017 l’Italia si è posizionata al diciannovesimo posto tra i Paesi al mondo in termini di attrazione di investimenti esteri, che tra il 2015 e il 2017 hanno raggiunto il valore di 59 miliardi di dollari statunitensi (12 miliardi in più rispetto al 2012-2014) [6].

Il Ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio ha assicurato che ci sarà una task force che monitorerà l’implementazione degli accordi, non senza mostrare comprensione per le paure degli Stati Uniti, arrabbiati soprattutto per non essere stati consultati prima di ratificare il Memorandum. Inoltre, ha precisato che ci si aspetta di avere un “graduale riequilibrio della nostra bilancia commerciale con la Cina. […] Ci aspettiamo un graduale aumento delle esportazioni[7]. In particolare, l’accento è stato posto sui prodotti alimentari e agricoli. In effetti, tra tutti i beni che esportiamo in Cina, il valore complessivo dei prodotti agricoli è inferiore solo a quelli chimici, con una preoccupante diminuzione tendenziale (45,56 milioni nel 2016, 41 nel 2017 e 37,79 nel 2018). Per quanto riguarda i prodotti alimentari, invece, le esportazioni arrivano fino a 250,57 milioni (nel 2016 erano 225,6, nel 2017 250,6). Più in generale, è opportuno segnalare che dal 2016 al 2017 c’è stato un aumento di circa 2,4 miliardi di euro di export italiano (da 11,1 a 13,5, per poi scendere a 13,1). Al contrario, l’import italiano dalla Cina è in aumento costante: 27,3 miliardi nel 2016, 28,4 nel 2017 e 30,8 nel 2018, per un deficit export/import pari a 17,32 miliardi di euro (poco meno dell’1% del nostro PIL) [8].

                                                                    La questione del 5G

Quando si parla di Cina, uno dei temi più importanti è rappresentato dal 5G (5th Generation), ovvero l’insieme di tecnologie di telefonia mobile di ultima generazione che supererà il 4G. Il tema è particolarmente importante per diversi motivi. Lo sviluppo di intelligenza artificiale, blockchain, digitalizzazione delle infrastrutture e molto altro dipende dalla potenza della rete di connessione [9]. Secondo GMSA, l’impatto previsto sull’economia globale da parte del 5G per i prossimi 15 anni è di 2,2 trilioni di dollari [10]. Dal punto di vista geopolitico, però, la questione rilevante ai fini di quanto esposto riguarda il fatto che l’Occidente teme di essere spiato dalle autorità cinesi per mezzo della nuova rete di connessione, con conseguenze notevoli in termini di difesa della proprietà intellettuale, comunicazioni private e attività commerciali. La grossa preoccupazione riguarda ZTE e Huawei, società cinese leader nel settore delle telecomunicazioni. Infatti, lo scorso dicembre la dirigente Meng Wanzhou è stata messa agli arresti domiciliari in Canada con l’accusa di spionaggio e furto di informazioni riservate. Per questo motivo, il CEO di turno Eric Xula recentemente ha detto alla testata canadese Globe and Mailche Huawei non fornirebbe mai i dati ai vertici del Partito Comunista cinese, in quanto “farlo sarebbe una violazione delle leggi nei Paesi in cui forniamo i nostri servizi”[11]. Ciò nonostante, proprio a causa dei timori legati allo spionaggio, gli Stati Uniti hanno vietato l’uso di apparecchiature di telecomunicazioni con il marchio della grande corporation per realizzare le nuove reti. Questo genererà squilibri di mercato assolutamente rilevanti, come ha ricordato lo stesso Xu lo scorso 30 novembre, quando ha detto che tutto questo genererà “un mercato senza piena concorrenza. […] non sono sicuro che possano davvero raggiungere il loro obiettivo di diventare il numero uno al mondo nel 5G”.  A detta di Xu, una delle conseguenze sarà rappresentata dai costi superiori cui dovranno far fronte le società di telecomunicazioni per acquistare attrezzature 5G, con effetti notevoli sui consumatori, che “dovranno spendere di più per ottenere servizi 5G che non sono così buoni, dal punto di vista qualitativo, rispetto ad altri mercati dove sono presenti i leader del settore”[12]
D’altra parte, il buon prezzo delle apparecchiature di Huawei per il 4G e i grandi rapporti commerciali tra la società e l’Europa potrebbero indurre il vecchio continente ad affidarsi a lei per effettuare l’upgrade. Perciò, secondo il blog Nova de Il Sole 24 Ore, lasciare fuori la Cina dalla questione 5G appare estremamente complesso[13].

Non è un caso se, in realtà, le raccomandazioni della Commissione europea non hanno messo al bando le tecnologie cinesi, ma hanno lasciato libertà agli Stati membri, in modo da trovare un compromesso tra sicurezza e innovazione. A differenza di altri Paesi, l’Italia non sembra essere attrezzata per fronteggiare le minacce cinesi, almeno stando a un recente studio dello Europe 5G Readiness Index, secondo il quale siamo al ventunesimo posto fra i 38 Paesi europei analizzati [14]. Tra i motivi ci sono l’ostilità del sistema ad aggiornare le regole in materia, che prevede una regolamentazione particolarmente stringente, e i pochi investimenti in cyber-security. Questi ultimi, infatti, a livello privato vengono fatti per l’80% dalle grandi aziende, che in Italia non superano lo 0,1% del totale, mentre le PMI dimostrano scarsa sensibilità in materia[15].

                                                       Il futuro dell’Italia

Tutto questo non può che generare grande perplessità e preoccupazione da UE e USA nei confronti dell’Italia, i cui accordi con la Cina prevedonoun’interpretazione dei contenuti avulsa dalla sfera di competenza dei tribunali internazionali. Ad occuparsene, eventualmente, sarà un “contesto amichevole di consultazioni dirette”, espressione che rende il Memorandum estremamente astratto e generico, ben diverso dagli scambi scientifici e culturali e dagli accordi specifici firmati dal capo di Stato francese Emmanuel Macron e dal Presidente cinese Xi Jinping subito dopo la visita di quest’ultimo avvenuta a Roma lo scorso marzo. Come sottolinea lavoce.info, il percorso dell’Italia è molto diverso da quello intrapreso da altri Paesi, compresa la Germania, che ha agito “inanellando collaborazioni e progetti comuni, strette di mano davanti a risultati mutualmente benefici e non a documenti fumosi”[16]. Allo stesso tempo, Bruxelles è estremamente preoccupata per il fatto che, a inizio marzo, l’Italia abbia votato contro il regolamento europeo per il controllo degli investimenti esteri provenienti da Paesi terzi per motivi di sicurezza o di ordine pubblico, creando così un nuovo sistema di collaborazione e information sharing tra gli Stati membri. In precedenza, questa iniziativa era stata promossa proprio da Roma, fattore che fa comprendere facilmente come anche questo episodio costituisca un altro duro colpo per la credibilità dell’Italia davanti alle potenze occidentali.

Secondo Lucio Caracciolo, direttore della rivista di geopolitica Limes, gli Stati Uniti e la NATO faranno pagare un “prezzo” all’Italia per questa mossa strategica [17], senza dimenticare che il nostro Paese rimane tra molto lontano dall’impegno preso dai membri del Patto Atlantico nel summit del Galles nel settembre 2014 di arrivare spendere il 2% del PIL nell’ambito della difesa entro il 2024 (siamo fermi allo 1,02%)[18]. Ad ogni modo, l’entità delle eventuali ritorsioni è difficilmente immaginabile.

                                      I rapporti tra Cina e USA: la guerra commerciale

Quando si parla di Cina e dei suoi rapporti con l’Occidente, occorre analizzare anche la questione dei dazi. Questi riguardano le esportazioni di prodotti cinesi negli USA e sono diventati operativi lo scorso 6 luglio, con il Presidente statunitense Donald Trump che giustificò la mossa con la volontà di riequilibrare il saldo commerciale con Pechino (e di porre un freno alle pratiche scorrette da parte delle imprese cinesi (per circa l’80% controllate dallo Stato), accusata di avere incentivato il furto di brevetti e proprietà intellettuali dalle aziende statunitensi. Il trade deficit degli States nei confronti della Cina aveva superato i 200 miliardi già nel 2005, arrivando poi a 367,3 nel 2016, per poi scendere fino a 346,9 nel 2017 [19]. A fronte di questi dati, l’amministrazione Trump ha posto dazi del 10% – che a partire dal 2019 sarebbero dovuti salire al 25% – sulle importazioni di circa 6.000 prodotti cinesi, inclusi quelli industriali e tecnologici, per un valore totale di 250 miliardi di dollari. Pechino ha risposto con tariffe aggiuntive del 5% sulle importazioni di prodotti quali automobili, aerei, soia e prodotti chimici (106 in tutto) e del 10% per beni nell’ambito della chimica, carne, grano e vino. Il valore complessivo di queste misure è stato di 60 miliardi di dollari [20]. Ad essere stata colpita è stata soprattutto l’industria automobilistica americana, dal momento che la Cina era solita importare ogni anno circa 270.000 veicoli prodotti negli Stati Uniti, per un valore di 11 miliardi di dollari. Le conseguenze più pesanti le hanno pagate compagnie come Tesla, BMW, Ford e Mercedes [21].Sia Cina che Stati Uniti hanno minacciato di aumentare le tariffe fino al 25%, salvo poi intraprendere dei negoziati all’inizio del 2019, posticipando così l’entrata in vigore di queste ulteriori misure [22].

Come anticipato, la ratio della mossa dell’amministrazione Trump era ridurre il deficit commerciale con la Cina. A questo riguardo, bisogna rilevare che, nel 2018, il trade deficit degli USA nei confronti della seconda potenza mondiale non solo non è diminuito, ma è addirittura aumentato di quasi 44 miliardi, arrivando alla quota record di 419,1 (+11,6%). Il trend è leggermente cambiato nel gennaio 2019, in cui si è arrivati a 34,4 (nel gennaio 2018 il dato mensile era stato 35,9, ovvero il 4,3% in più) [23]. In tale contesto bisogna inserire la tregua di 90 giorni raggiunta dai due Paesi a inizio dicembre – che ha fatto seguito al G20 di Buenos Aires che ha avuto luogo tra il 30 novembre e il 1 dicembre – in modo da poter avere il tempo di negoziare nuovi accordi più duraturi. Inoltre, la Cina si è impegnata a comprare più prodotti agricoli statunitensi, specialmente quelli di soia [24].
Attualmente le trattative sono ancora in corso: non ci sono ancora risultati concreti, ma l’andamento sembra essere incoraggiante, come ha detto anche Larry Kudlow consigliere economico della Casa Bianca, che lo scorso 5 aprile ha rilasciato un’intervista per Bloomberg Television:Abbiamo compiuto buoni progressi nel trasferimento forzato della tecnologia, merci, cyberspazio” [25]. Gli USA hanno chiesto a Pechino di ridurre i sussidi industriali, di aprire maggiormente la propria economia alle compagnie americane e di aumentare gli acquisti nel settore agricolo ed energetico. Inoltre, è stato posto l’accento su un accordo per evitare manipolazioni della valuta e per attivare un meccanismo di applicazione delle regole soprattutto per garantire che la Cina rispetti i propri oneri. Kudlow ha anche precisato che sono stati compiuti progressi importanti, ma che i negoziati sono ancora in corso. Gli ultimi aggiornamenti hanno dunque fatto crescere l’ottimismo, come confermato da Erin Ennis, vice-presidente dello U.S.- China Business Council, che rappresenta le aziende americane che fanno affari in Cina. Ennis, infatti, ha dichiarato: “Il fatto che stiano ancora parlando – e che lo stiano facendo in modo positivo – suggerisce che entrambi pensano di essere sulla strada giusta per arrivare a una soluzione[26].
A beneficiarne non sarebbero solamente le due superpotenze mondiali, ma la maggior parte dell’economia globale, già di per sé chiamata a rispondere a problemi che si presenteranno via via come sempre più complessi. Intanto, però, gli Stati Uniti hanno minacciato di imporre dazi sui diversi prodotti importati dall’Europa per un valore di 11 miliardi di dollari, in cui sono inclusi elicotteri a uso civile, formaggi e vini. Il motivo del contendere è rappresentato dai sussidi che gli Stati europei darebbero ad Airbus, distorcendo la competizione con Boeing, peraltro in un momento difficilissimo della propria storia dovuto alle ultime disavventure dei suoi velivoli.
Ad ogni modo, sorprendentemente, stavolta l’amministrazione Trump agirà solamente in caso di via libera del WTO (World Trade Organization), atteso in estate [27]. Una novità che riduce solo in minima parte l’impatto delle politiche intraprese in questi anni da parte dei numeri uno del mondo.


BIBLIOGRAFIA

[1] “Via della Seta”, Enciclopedia Treccani: http://www.treccani.it/enciclopedia/via-della-seta_(Dizionario-di-Storia)/

[2] “Members and prospective members of the bank”, Asian Infrastructure Investment Bank: https://www.aiib.org/en/about-aiib/governance/members-of-bank/index.html

[3] Lamperti L., “Via della Seta: mappa, investimenti, pro e contro. Tutto ciò che c’è da sapere”, Affari Italiani, 2019: http://www.affaritaliani.it/politica/geopolitica/via-della-seta-cina-italia-usa-accordo-investimenti-mappa-xi-jinping-592687.html?refresh_ce

[4] ibidem

[5] Tessa M., “Città della Via della Seta: le più importanti”, Wall Street Italia, 2019: https://www.wallstreetitalia.com/citta-sulla-via-della-seta-le-principali/

[6] UN World Investment Report 2018: https://unctad.org/en/PublicationsLibrary/wir2018_en.pdf

[7] “Di Maio: ‘Con Cina accordi da 2,5 miliardi, potenziale da 20 miliardi”, Ansa: http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2019/03/23/di-maio-con-la-cina-accordi-da-25-mld_3bd5dbee-518b-48f9-a969-230a552eaa38.html

[8] “Scambi commerciali Italia-Cina”, Info Mercati Esteri: http://www.infomercatiesteri.it/scambi_commerciali.php?id_paesi=122

[9] “5G (quinta generazione), tutto sulla tecnologia internet che cambierà il mondo”, Corriere Comunicazioni: https://www.corrierecomunicazioni.it/telco/5g/

[10] “New GSMA: 5G to account for 10% of global mobile industry by 2025 as 5G network launches accelerate”, GSMA, 2019: https://www.gsma.com/newsroom/press-release/new-gsma-study-5g-to-account-for-15-of-global-mobile-industry-by-2025/


[11] Vanderklippe N., “Top Huawei executive says not even Xi Jinping could compel it to help China spy in other countries”, The Globe and Mail, 2019: https://www.theglobeandmail.com/world/article-top-huawei-executive-says-not-even-xi-jinping-could-compel-it-to-help/

[12] “Huawei: Xu, Usa forse non saranno leader 5G se ci bandiscono”, Ansa, 2018: http://www.ansa.it/sito/notizie/tecnologia/tlc/2018/11/30/huaweino-leadership-usa-in-5g-senza-noi_19532d5b-587b-4def-8357-480a9c8d59b7.html

[13] Parada G., “Homo digitalis digitalis”, Nova, 2019: https://guiomarparada.nova100.ilsole24ore.com/2019/03/25/china-bri-5g-cyber-sec/

[14] Longo A., “5G, in Italia è a rischio (ed è un rischio): siamo in ritardo su sicurezza e innovazione” La Repubblica, https://www.repubblica.it/economia/2019/04/07/news/5g_in_italia_e_a_rischio_ed_e_un_rischio_siamo_in_ritardo_su_sicurezza_e_innovazione-223255421/

[15] Rugge F.,”Investire in cybersecurity” ,ISPI, 2018: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/investire-cybersecurity-21604

[16] Amighini A., Italia-Cina: quel Memorandum è un pasticcio, lavoce.info, 2019: https://www.lavoce.info/archives/58076/italia-cina-quel-memorandum-e-un-pasticcio/

[17] “Via della Seta: il memorandum con la Cina spiegato da Lucio Caracciolo”, Youtube, 2019: https://www.youtube.com/watch?v=uyWzcGweQto

[18] Nones M., “Difesa: spesa militare italiana all’1%, scherzando col fuoco”, Affari Internazionali, 2019: https://www.affarinternazionali.it/2019/02/difesa-spesa-italiana-fuoco/

[19] “Trade in goods with China”, U.S. Census: https://www.census.gov/foreign-trade/balance/c5700.html

[20] “China hits back at Trump with tariffs on $60bn of US goods”, BBC, 2018: https://www.bbc.com/news/business-45555749

[21] Centenari L., “Dazi incrociati USA-Cina, le case auto più colpite”, Motorbox, 2018: https://www.motorbox.com/auto/magazine/vivere-auto/dazi-usa-risposta-della-cina-tasse-per-50-miliardi-anche-sulle-auto

[22] Wei L., “China retaliates with tariffs on $60 billion of U.S. goods”, The Wall Street Journal, 2018: https://www.wsj.com/articles/chinese-officials-scramble-to-respond-to-trumps-new-tariffs-1537275015

[23] “Trade in goods with China”, U.S. Census: https://www.census.gov/foreign-trade/balance/c5700.html

[24] “C’è una specie di tregua nella guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina”, Il Post, 2018: https://www.ilpost.it/2018/12/02/stati-uniti-cina-tregua-dazi/

[25] Lawder D., “As latest round U.S.-China talks end, ‘significant work’ remains’”, Reuters, 2019: https://uk.reuters.com/article/uk-usa-trade-china/as-latest-round-of-u-s-china-talks-end-significant-work-remains-idUKKCN1RH1Z3

[26] ibidem

[27] “Trump minaccia dazi da 11 miliardi alla UE per aiuti ad Airbus: colpiti pecorino, prosecco e olio”, Il Sole 24 Ore, 2019: https://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2019-04-09/trump-minaccia-nuovi-dazi-ue-gli-aiuti-ad-airbus-contro-boeing–074022_PRV.shtml?uuid=ABYF5UmB

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