15/12/2017
PUTIN RITIRA LE TRUPPE DALLA SIRIA: IL FUTURO DELLA RUSSIA E IL SUO NUOVO RUOLO IN MEDIO ORIENTE
di Gabriele Ferrara
Il prossimo 18 marzo si terranno le elezioni presidenziali russe. Il candidato principale sarà nuovamente Vladimir Putin, alla caccia del quarto mandato presidenziale della sua vita, con i suoi avversari staccati nettamente nei sondaggi (tutti gli garantiscono almeno il 53% dei voti ). Per garantirsi un successo che sembra annunciato, una delle prime mosse della campagna elettorale del leader del Cremlino è stata il ritiro “di una parte significativa del contingente militare russo dalla Siria”, vista la sconfitta ormai definitiva dello Stato Islamico, dovuta in gran parte proprio all’intervento di Mosca nel settembre 2015. Proprio la brillantezza di questa operazione è stata sottolineata dall’ex capo del KGB davanti ai microfoni delle principali televisioni russe: “Il compito di combattere i banditi armati qui in Siria è stato in gran parte risolto, e risolto in modo spettacolare”, avvisando poi i terroristi che, qualora dovessero rientrare in scena, subiranno colpi che non hanno mai visto prima d’ora . Inoltre, la Russia ha deciso di rimanere nel porto di Tartous e nella base aerea di Hmeymim (costa siriana del Mediterraneo). Avendo creato le premesse affinché la Siria rimanesse uno Stato sovrano e indipendente, a questo punto la palla passerà all’ONU. Ma c’è molto di più.
Lo scorso 11 dicembre, infatti, oltre ad annunciare la notizia di cui sopra, Putin è volato al Cairo per finalizzare un accordo da 30 miliardi di euro con il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi. Grazie ad esso verrà costruito un impianto nucleare a el-Dabaa (a ovest del Cairo) e quattro reattori, con il ripristino di voli diretti tra Russia ed Egitto come probabile conseguenza indiretta di quest’intesa. Questa scelta appare molto interessante da un punto di vista strategico, soprattutto in funzione anti-USA: gli egiziani, infatti, erano i secondi maggiori beneficiari degli aiuti militari degli States, che però si sono progressivamente allontanati dai loro alleati (non a caso in agosto l’amministrazione Trump ha deciso di non erogare 95,7 milioni di dollari al Cairo). In questo senso, non meno importante è stato il dialogo tra Putin ed Erdogan, che nella stessa giornata hanno parlato di energia nucleare, armi e gas, con la conseguente disapprovazione degli USA e della NATO. Per implementare un nuovo programma di sicurezza per il suo Paese, Erdogan recentemente ha trovato un accordo per comprare i sistemi anti-missili aerei russi S-400, mentre la Rosatom – la società statale russa che produce l’energia nucleare – si è impegnata a costruire una centrale nucleare da 20 miliardi di dollari nel sud della Turchia, che dovrebbe diventare operativa a partire dal 2023.
Il legame sempre più stretto tra Turchia e Russia è certificato dalle sempre maggiori esportazioni di gas russo nella Repubblica turca (oltre il 50% delle sue riserve di gas vengono dalla Federazione), dopo che nel primo periodo della guerra siriana si erano trovati in due fronti contrapposti. Nonostante le contraddizioni della loro partnership, Erdogan e Putin sembrano sempre più legati dalla sfiducia verso l’Occidente. In questo quadro non si può non considerare quanto accaduto negli ultimi giorni, con il presidente statunitense Donald Trump che ha affermato che “Gerusalemme è la capitale di Israele”, annunciando anche il trasferimento dell’ambasciata USA da Tel Aviv proprio alla Città Santa nel giro di sei mesi. Una delle conseguenze principali è stata la reazione da parte di tutte le più eminenti personalità politiche del panorama internazionale. In particolare, il presidente palestinese Abu Mazen, in un discorso alla nazione, ha detto che “la decisione odierna di Trump equivale a una rinuncia da parte degli Stati del ruolo di mediatori di pace” . Putin ed Erdogan, dal canto loro, hanno espresso la loro preoccupazione circa l’accaduto, ma adesso si ritrovano in una posizione di estrema forza: insieme all’Iran e Hezbollah, non solo controllano la Siria, avendo adesso la possibilità di controllare il Medio Oriente ancora più di prima. Tutto il mondo arabo è preoccupato per il riacutizzarsi della questione arabo-israeliana, ma chi concretamente avrà modo di influenzare lo scenario sarà proprio l’asse russo-turco-iraniano. Ciò nonostante, il punto di vista di Putin e quello di Erdogan su questo problema non coincidono: il primo, infatti, vuole ristabilire un dialogo tra le due parti, mentre il secondo ha definito Israele “uno stato terrorista” . Anche per questo sarà molto interessante vedere come si comporteranno i capi di Stato dell’asse sopra citato: le relazioni commerciali tra Israele e Russia non sono sicuramente un fattore da trascurare, così come il fatto che il 20% degli israeliani abbiano origini russe e che in Israele ci siano mass media di lingua russa. Dall’altro lato, però, come detto, i rapporti tra Turchia e lo stato israeliano si sono deteriorate, dopo che nel 2016 c’era stato un importante avvicinamento, senza considerare le relazioni ancora peggiori tra Israele e Iran. Per capire le scelte di Putin sotto questo profilo occorrerà attendere.
Lo sviluppo della politica estera russa è sempre più decisivo anche per quella interna e per l’economia. Da questo punto di vista, non bisogna considerare solo il calo dei prezzi del petrolio, i relativi shock del 2014 e 2015 e le varie sanzioni (che in Europa danneggiano soprattutto la Germania), ma anche quanto stabilito dalla Banca Mondiale lo scorso 12 dicembre. La WB, infatti, ha annunciato che, a partire, dal 2019 smetterà di finanziare qualsiasi progetto di esplorazione o finanziamento di petrolio e gas, così da spingere l’economia globale verso una transizione accelerata per avere sempre più energia pulita e rinnovabile. Se i primi due fattori, soprattutto il primo, hanno già influenzato notevolmente il bilancio russo (secondo le stime dell’Economist, la Russia dovrebbe chiudere il 2017 con un deficit del -2,1% in rapporto al PIL), quest’ultima notizia potrebbe danneggiare il Cremlino nel medio-lungo periodo, o quanto meno a costringerlo a trovare alcune vie alternative per la crescita economica russa.
Intanto, Putin ha assicurato che nel breve termine lo sviluppo dell’economia del suo Paese è garantito, anche grazie ai recenti investimenti esteri diretti, che nel 2017 hanno raggiunto i 23 miliardi di dollari.
Per massimizzare il rendimento delle proprie tecnologie all’estero, lo scorso 14 dicembre la Russia ha poi firmato una road map con l’Arabia Saudita, in attuazione del programma di cooperazione sull’uso pacifico dell’energia nucleare frutto dell’incontro del 5 ottobre. Il progetto prevede la produzione di piccoli e medi reattori utilizzabili anche per la dissalazione dell’acqua marina. Come si è già avuto modo di analizzare (http://crstitaly.org/376-2/), i rapporti tra questi due stati sono sempre più stretti: allo stesso tempo quelli tra USA e Arabia lo sono sempre meno, mentre la rivalità tra la stessa Arabia Saudita e Iran sta raggiungendo livelli sempre più elevati (si pensi a quanto sta accadendo nello Yemen).
Anche per queste ragioni, sarà molto importante vedere come la Russia si presenterà davanti a tutti, ora che è in grado di offrire canali forieri di partnership importanti a quasi ogni stato del globo (recentemente ha annunciato che non riconoscerà la Corea del Nord come potenza nucleare). Considerando i recenti sviluppi e l’intenzione degli Stati Uniti di concentrarsi più su se stessi e sulla corsa allo spazio, una parte cruciale del futuro di questo mondo dipende da lei.
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