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21/12/2017

 

LA MINACCIA DEL TERRORISMO CBRNE: DALL’ATTENTATO DI TOKYO AI PROPOSITI DELLO STATO ISLAMICO.

POSSIBILI SCENARI E CONTRASTO

di Enrico Colarossi

 

La minaccia terroristica che attualmente rappresenta la maggiore fonte di preoccupazione a livello mondiale è sicuramente quello di matrice islamica, soprattutto dopo i tragici eventi su suolo statunitense avvenuti l’undici settembre 2001, giorno in cui la comunità internazionale intera è accomunata dall’esigenza di cercare e adottare efficienti misure di contrasto.

In realtà tale esigenza è sorta già dal secondo dopo guerra, periodo in cui si manifestavano le prime forme di conflittualità non convenzionale che hanno costretto organi sovranazionali, quali le Nazioni Unite o l’Unione Europea, ad affrontare dapprima l’annoso problema di stabilire quali atti vanno considerati di natura “terroristica” e quindi pianificare ogni utile azione alla loro neutralizzazione.

Durate tale fase profonde divergenze sono state affrontate dagli stati interessati, tanto da non essere in grado, ancora oggi, ad aver coniato una definizione del fenomeno terroristico condiviso dalla comunità internazionale.

Questa mancanza ha provocato l’incrinarsi dei rapporti diplomatici fra diversi paesi occidentali e afro-asiatici, in particolar modo quelli arabi, poiché il dibattito permane tuttora sulla classificazione di quelle azioni di natura aggressiva che vengono compiute da determinati stati nei confronti del proprio popolo, che nel pieno rispetto di principi sanciti dal diritto internazionale, è impegnato in lotte per la sua autodeterminazione.

Per meglio comprendere il fenomeno del terrorismo va analizzato ogni suo elemento costitutivo, ponendo l’attenzione sull’uso sistematico e tattico della violenza, fisica o psicologica, nell’ambito di una conflittualità non convenzionale da parte di organizzazioni che operano nella massima clandestinità spinte da motivazioni di varia natura.

Tra gli elementi costitutivo va annoverata la motivazione, che può essere di natura politica, politica-religiosa o politica-sociale.

La cosiddetta azione criminale deve essere compiuta da attori non statali, con o senza ausilio di uno Stato sostenitore, e può manifestarsi come fenomeno interno, internazionale o transnazionale.

Oggi si è testimoni di un risveglio dell’Islam non solo nei paesi arabi e ma anche in nazioni molto distanti sia dal punto di vista geografico che culturale, ma nonostante ciò, vi è la manifestazione di un Islam religioso e moderato che lascia spazio e anche ad un Islam politico in cui i dettami clericali vengono vissuti e interpretati in chiave pericolosamente estremista.

Vi è un quotidiano confronto con leaders religiosi o politici i quali, per il raggiungimento dei propri obiettivi utilizzano “strategicamente” aspetti e concetti ideologicamente lontani dalla religiosa Verità rivelata nel Sacro Corano.

Una verità corrotta al servizio di gruppi o organizzazioni terroristiche che richiamano un gran numero di militanti pronti al sacrificio in nome di un credo religioso estremistico, convinti di adempiere al sacro obbligo del jihad.

Un aspetto del fenomeno terroristico, spesso sottovalutato e non seriamente preso in considerazione, è quello meglio noto come terrorismo CBRNe, ovvero, del rischio concreto che organizzazioni di stampo terroristico possano entrare in possesso di materiali  chimici, biologici, radiologici, nucleari e esplosivi, e impiegarle in attacchi o attentati contro obiettivi avversari. 

Sino ad oggi la tipologia degli aderenti ad organizzazioni terroristiche operanti sulla scena internazionale, considerati più spontaneisti e meno esperti, quindi, poco addestrati all’utilizzo dei materiali CBRNe hanno alimentato la sottovalutazione di cui sopra da parte dell’Intelligence o governi vari.

Il terrorismo CBRNe oggi ha assunto senz’altro nuove forme, basti pensare alla nascita dello Stato Islamico guidato dall’autoproclamato Califfo Abu Bakr al-Baghdadi, che oggi vive una sconfitta militare nei territori di Iraq e Siria, ma non certo una sconfitta di carattere ideologico, il quale in passato ha precise direttive affinché si creassero unità dedicate all’uso di aggressivi CBRN, quindi, pianificare attentati dagli esiti ancor più tragici.

 

Materiali radioattivi o sostanze chimiche aggressive, soprattutto plutonio e uranio arricchito (HEU o LEU), sono reperibili in diversi paesi del mondo dove le maggiori scorte si trovano nei diversi paesi dell’ex Unione Sovietica, e a causa della prolungata instabilità politica interna e l’alto tasso di corruzione ivi esistente ha favorito la vendita sul mercato illegale di detto materiale a diverse organizzazioni terroristiche.

Si consideri che tra il 1991 e il 2001 si sono registrati almeno quattordici casi di furto di materiale radioattivo stoccati in impianti nucleari ex sovietici, e perfettamente utilizzabili per il confezionamento di ordigni nucleari, ma si tratta di “eventi” che si sono registrati anche in Europa ed entro i confini statunitensi.

Secondo studi dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (A.I.E.A.), tra il 1993 e il 2004 sono stati rilevati ben 650 casi confermati di traffico illegale di sostanze radiologiche o nucleari, perfettamente idonei alla realizzazione di dispositivi per la dispersione radiologica o ordigni nucleari, le tristemente famigerate “bombe sporche”.

Situazione che ha indotto diversi paesi del globo a sottoscrivere accordi internazionali al fine di rafforzare la vigilanza e il controllo di siti sensibili dove il materiale è depositato, e talvolta incustodito, ma nel contempo anche esemplificare lo scambio informativo tra apparati di Intelligence e sicurezza per meglio identificare flussi di contrabbando del materiale CBRN.

L’AIEA ha approvato apposito “Codice di condotta sulla sicurezza delle fonti radioattive” del 2004, valido strumento per la Commissione del Parlamento europeo per lo studio della “Esperienza acquisita nell’attuazione della direttiva 2003/122/EURATOM sul controllo delle sorgenti radioattive sigillate e delle sorgenti orfane”, dell’aprile 2015.

Va citata tra le iniziative internazionali, anche il Piano di azione del G8 sulla sicurezza delle fonti radioattive poi approvato al vertice di Evian nel 2003, nonché, la Proliferation Security Iniziative (2003) con l’obiettivo di porre rimedio al trasporto illegale di Armi di Distruzione di Massa e materiali “sensibili”.

Con medesime finalità sono stati istituiti il Gruppo Australia e il Gruppo dei fornitori di materiale nucleare, il Nuclear Suppliers Group.

Nonostante il fallimento della Conferenza del Trattato di Non Proliferazione del 2005 a New York, tendente a rendere ancor più stringenti quanto già previsto dalle disposizioni AIEA, vi è la speranza di rendere ancora più difficoltosa la proliferazione di armi, materiale e tecnologie nucleari, ma ad oggi i fatti dimostrano quanto sia difficile giungere ad un punto comune tra tutti gli attori statali coinvolti.

La preoccupazione più forte e che le milizie dello Stato Islamico, nei diversi anni in cui hanno occupato e saccheggiato i depositi militari degli eserciti iracheni, siriani, nonché, delle lontane “colonie” libiche, siano venute in possesso di armi pesanti e strategiche di notevole potere. Si consideri, infatti, che gli stessi lealisti del Colonnello Mu’ammar Gheddafi hanno svenduto anche armamenti non convenzionali a favore di milizie e gruppi terroristici.

Si pensi che i depositi del caduto esercito del Colonnello Gheddafi vantava quantitativi notevoli di materiale tattico chimico come l’iprite, il tristemente noto gas mostarda, e di diverse scorte di materiale radioattivo, come l’uranio arricchito che potrebbero concorrere alla creazione delle bombe sporche.

Analisi nel settore hanno stabilito che nei diversi magazzini del caduto regime di Gheddafi, sono stoccate circa 10 tonnellate di materiale biologico o radioattivo, in origine 25 tonnellate come da programmi di armamento speciale voluto dal ra’is, ad oggi incustodite o nelle mani di soggetti senza scrupoli.

Non è solo la disponibilità di materiale CBRN che preoccupa la comunità internazionale, infatti, vi sono diversi sistemi d’arma come i missili antiaereo trasportabili a spalla, come il sovietico “STRELA 2” – denominazione NATO SA-7 “Grail”- che oltre ad essere in grado di intercettare ed abbattere aeroplani a bassa quota possono essere utilizzati come vettori di materiale bio-chimico.

Il regime di Gheddafi nell’arco di 40 anni ha acquistato ben 20 mila pezzi del suddetto sistema arma portatile, e l’Intelligence israeliana ha confermato che nel 2011 diversi missili di questo tipo sono giunti nei territori palestinesi e nella Striscia di Gaza.

La comunità di Intelligence internazionale si pone una domanda. Può un’organizzazione terroristica effettuare un attentato utilizzando materiale non convenzionale, quindi, un attacco di natura CBRN?

Sino ad oggi si è stati testimoni di attentati terroristici i cui modus operandi sono tatticamente vari tra loro, come attacchi esplosivi con autobombe o operazioni di martirio dove mujaheddin fanno deflagrare cinture o giubbetti esplosivi.

Cellule operative che hanno utilizzato la tecnica cosiddetta “combinata”, come ad esempio avvenuto a Parigi e Berlino, dove vi è stato un uso preliminare ed indiscriminato di armi da fuoco su folli inermi, e in seguito le citate mortali cinture esplosive.

Tattiche che consentono alle cellule terroristiche di poter causare un maggior numero di vittime con “costi” relativamente bassi.

Diversi analisti di Intelligence ritengono molto improbabile che possa compiersi un attentato con l’uso di aggressivi non convenzionali, ma bisogna anche dire che in passato sono stati realizzati attacchi con l’uso di sostanze chimiche o batteriologiche, come testimoniano i fatti occorsi nella metropolitana di Tokyo il 20 marzo 1995 condotti dalla setta religiosa dell’Aum Shirinkyo con il rilascio intenzionale di gas Sarin, noto anche come GB.

 

Su ordine del leader spirituale della setta, Shoko Asahara, cinque adepti del movimento hanno nascosto il gas letale all’interno di sacchetti di plastica avvolti da giornali, e poi lasciati sotto i sedili dei vagoni. Prima di lasciare il convoglio i sacchetti sono stati forati con la punta di ombrelli, favorendo la fuoriuscita del gas.

La setta religiosa giapponese aveva già effettuato un attacco chimico con l’uso del gas Sarin l’anno precedente, infatti, nella località di Matsumoto nei pressi dell’abitazione di un giudice che stava svolgendo attività istruttoria nei confronti del movimento religioso, hanno utilizzato un camion frigo contenente il gas provocando la morte di sette persone.

Fu utilizzato il gas Sarin poiché la sua consistenza liquida a temperatura ambiente, l’essere inodore ed altamente volatile hanno aumentato esponenzialmente il fattore di letalità dell’attacco, anche con il rilascio di bassissime dosi e quindi favorevoli allo scopo criminale prefissato.

Il Sarin ha la capacità di raggiungere organi vitali ed il sistema nervoso attraverso lo strato epiteliale, rendendo inutile anche l’uso di dispositivi di protezione come maschere anti gas.

Oggi, secondo un rapporto del Parlamento europeo, tra i propositi operativi del Califfato vi era anche il compimento di attentati nel vecchio continente utilizzando armi non convenzionali, infatti, diversi messaggi informatici all’epoca intercettati hanno rivelato che tra i diversi foreign fighters entrati nelle fila dello Stato Islamico, vi erano anche esperti in chimica, fisica e informatica.

Gli attentati compiuti sino ad oggi dai jihadisti del drappo nero hanno dimostrato quanto sofisticati e letali si sono dimostrati, frutto di pianificazioni attente e minuziose comprovando, inoltre, di essere dotati di elevata preparazione militare e strategica.

Seguendo il principio del cosiddetto “calcolo terroristico”, si potrebbe ipotizzare l’esecuzione di un attentato di natura CBRN, senza destare particolare attenzione nelle fasi di esecuzione e senza che si concretizzi la fase del martirio per il componente, o componenti, della cellula terroristica operante.

L’attentato, infatti, prevede il rilascio in ambiente di materiale radioattivo, nei confronti di un obiettivo altamente simbolico, pragmatico, rilevante e accessibile, al fine di seguire e soddisfare le condizioni previste dal citato calcolo.

Si potrebbe ipotizzare il rilascio intenzionale in ambiente, sotto forma di aerosol, di una miscela composta da acqua e materiale radioattivo del tipo Cesio-137.

Il Cesio-137 è un isotopo radioattivo prodotto dalla fissione nucleare dell’uranio, la cui emivita può variare dai 30 ai 17 anni, caratterizzato inoltre, da un decadimento Beta che produce un isomero nucleare del Bario-137 la cui emivita non va oltre i 55 minuti, ma responsabile dell’emissione di raggi Gamma.

L’isotopo radioattivo in questione viene scelto per la realizzazione dell’attacco proposto, poiché, presenta un’elevata solubilità in acqua anche se ciò lo rende meno gestibile e produce, inoltre, il caratteristico effetto di fluorescenza noto col nome di “blu di Cherenkov”.

 

Il Cesio-137 è largamente utilizzato in campo sanitario, nel campo della radioterapia per il trattamento di cancro, o nel settore industriale poiché utilizzato in dispositivi per la misura dei flussi di liquidi o per la misurazione dello spessore di materiali; circostanze che rendono tale materiale anche di facile accessibilità da parte di organizzazioni criminali o terroristiche.

Essendo un metallo alcalino l’isotopo presenta un’elevata proprietà di solubilità in acqua con proprietà di tossicità molto elevate, infatti, l’ingestione o assorbimento da parte di un organismo vivente verrebbero immediatamente attaccati i tessuti ricchi di potassio, quindi la struttura muscolare e del muscolo cardiaco.

L’emivita biologica del Cesio-137 non supera i 70/80 giorni, ma una dose di pochi grammi può risultare letale per un organismo vivente entro tre settimane dal suo assorbimento, trovando quale unico rimedio una terapia clinica a base di “”, ovvero, il “colorante Blu di Prussia”.

Per meglio comprendere gli effetti dell’irradiazione da raggi gamma di Cesio-137, si cita l’incidente avvenuto nella cittadina brasiliana di Goiana nel 1987, dove si registrò la contaminazione con l’isotopo radioattivo in seguito alla manomissione di un’apparecchiatura per radioterapia che fu abbandonata presso un ospedale non più attivo.

La contaminazione fu classificata come un incidente di livello 5, secondo la Scala Internazionale degli Eventi Nucleari e Radiologici (INES – International Nuclear and Radiological Event Scale) sviluppata dall’AIEA, e che colpì circa 250 persone, delle quali quattro decedute il cui organismo era gravemente compromesso.

Quando si parla di dispersione e diffusione di materiale radioattivo con l’obiettivo di contaminare persone o cose e provocarne la morte, causare danni in una determinata area, il pensiero corre immediatamente alle cosiddette “bombe sporche”, tecnicamente definiti Dispositivi a Dispersione Radiologica – DDR (Radiological Dispersion Device).

Tali dispositivi sono ordigni confezionati con materiale esplosivo convenzionale combinato con materiale radioattivo non fissile, e a seguito della loro deflagrazione, avviene la dispersione del materiale nocivo nell’ambiente circostante.

 

L’obiettivo principale delle dirty bomb, quindi, è la disseminazione del materiale radioattivo al fine di colpire aree densamente popolate, e ciò dipende dalle dimensioni della carica esplosiva convenzionale, e dal tipo e quantità del materiale radioattivo, oltre, che dalle condizioni ambientali presenti.

Per DDR si può intendere anche un dispositivo che contenga un’importante fonte di dispersione di materiale radioattivo in grado di contaminare soggetti in transito nelle prossimità dello stesso, senza che avvenga necessariamente un’esplosione; avverrebbe  una contaminazione esterna, ovvero, la cute viene aggredita dal materiale radioattivo, oppure, potrebbe avvenire l’inalazione, l’ingerimento o una contaminazione attraverso ferite già esistenti che garantirebbe l’attacco degli organi interni.

Apparati di Sicurezza ed Intelligence di diversi paesi sono particolarmente allertati a causa dei diversi e riusciti accessi presso centrali nucleari poco “sorvegliate”, dalle quali potrebbe risultare molto semplice prelevare materiale radioattivo ancora nocivo.

Particolare preoccupazione è rappresentata dalla miriadi di “batterie nucleari[1]” abbandonate nei diversi depositi militari dell’ex Unione Sovietica, ed oggi a disposizione di mercanti di armi. Per le medesime finalità possono essere utilizzati anche gli scarti di combustibile radioattivo presenti in diverse centrali con reattori non perfettamente custoditi, così come, per i sommergibili a propulsione nucleare non in servizio attivo e quindi attraccati in banchine solitarie.   

Il reperimento di materia radioattive e basilari nozioni di ingegneria meccanica, rendono l’arma radioattiva alla portata di organizzazioni terroristiche il cui obiettivo è colpire i noti soft-target e quindi creare le suddette situazioni caotiche e di terrore ma non in grado di ottenere distruzioni su larga scala.

Per il confezionamento di un DDR possono essere utilizzate diverse fonti radioattive, anche del tipo dual use, come ad esempio:

  • Cesio 137, materiale radioattivo largamente utilizzato in strutture sanitarie ed ospedaliere nell’ambito di procedure di medicina nucleare, centri di ricerca ed università.
  • Cobalto 60, utilizzato in impianti industriali per il trattamento di alimenti al fine di eliminare batteri dannosi, nonché, in strutture sanitarie.
  • Iodio 125, Iodio 131, Iodio 123, Tecnezio 99, Tallio 201 e Xenon 133, materiali utilizzati nel campo della radio farmacia.
  • Iridio192, largamente utilizzato nelle brachiterapie elettroniche.
  • Americio 241, capace di emettere radiazioni gamma molto intense e creare seri problemi a chi viene esposto a tali radiazioni, anche se usato in piccolissime dosi. Utilizzato come sorgente attiva di macchine radiogene portatili.
  • Californio 252, utilizzato come fonte di start up per reattori nucleari, inoltre, impiegato come detector per radiazione nucleare di aeromobili e componenti di armi al fine di individuare eventuali corrosioni, saldature errate, fratture e vapore intrappolato.
  • Nel settore militare trova largo utilizzo la forma arricchita dell’isotopo di Uranio 235 per la realizzazione di bombe atomiche o quale innesco per ordigni termonucleari.

L’isotopo di Uranio 235, se sottoposto a processo artificiale di riduzione, da vita al noto “uranio impoverito” poi utilizzato per creare munizionamento anticarro in grado di perforare le corazze dei mezzi pesanti e creare all’interno degli stessi vere e proprie camere di fuoco.

Un valido contrasto al terrorismo CBRN richiede sinergie valide ed efficaci, da un lato quindi di disporre di strumenti normativi adeguati alle necessità, o in grado di sostenere l’impatto con le criticità future.

Contemporaneamente è necessaria una conoscenza dei fenomeni storici ed ambientali del fenomeno, indispensabile per interpretare correttamente gli eventi, e elaborare analisi calzanti con la realtà e proiettate nel tempo, grazie alle quali poter fornire ai decisori strumenti interpretativi validi per tracciare linee di condotta e contrasto.

Chiaramente un valido sussidio nel panorama generale di raccolta informativa, analisi e pianificazione di strategie può giungere dall’Intelligence, che si è dimostrato essere strumento flessibile ed applicabile con successo in una molteplicità di settori.

Il ricorso all’Intelligence appare proficuo sia nell’attività preventiva che nella ricerca di informazioni qualificate, non acquisibili in altro modo. Sia la gravità degli eventi terroristici finora verificatisi a livello globale, sia l’esperienza inducono oramai a ritenere più pagante l’attività preventiva che quella squisitamente repressiva, laddove nel primo caso è possibile mitigare il fenomeno, mentre nel secondo ci si limita alla constatazione degli effetti ed alle procedure investigative per accertare le responsabilità ed i moventi.

Nella strategia di contrasto generale, non va considerata in secondo piano l’elevazione di una maggiore consapevolezza collettiva sulle minacce e criticità, anche allo scopo d’agevolare la presa di coscienza da parte delle popolazioni e l’accrescimento della cultura della sicurezza, quest’ultime entrambe candidate ad assumere un ruolo importante nella collaborazione e partecipazione ai temi sociali più impegnativi. In tale direzione, un contributo qualificato può giungere anche da attori che seguono l’evoluzione dei fenomeni da osservatori meno specialistici al confronto con Intelligence e forze dell’ordine, quali i circuiti accademici e taluni soggetti privati, risultati comunque in grado di apportare integrazioni significative e stimolanti in tema di sicurezza sociale.           

Nel novero degli strumenti, è bene inserire alcuni elementi che esulano dalla consueta analisi, quali la qualità delle informazioni, troppo spesso sottovalutata, ma destinata ad alimentare il patrimonio informativo, e l’attività diplomatica, che trova maggiore efficacia attraverso accordi di collaborazione bilaterale e multilaterale. 

L’azione di contrasto quindi deve essere incentrata su una moltitudine di iniziative che non possono più prescindere da:

– politiche di intervento coordinate e di carattere non solamente nazionale;

– sinergie internazionali e rafforzamento delle linee guida della comunità internazionale;

Intelligence ed apparati di sicurezza specializzati ed in condizione di disporre d’un valido presidio informativo;

– legislazioni adeguate alla temperie e di supporto sia all’attività d’Intelligence corrente, sia ai compiti più specificatamente perseguiti dalle forze di polizia;

– disponibilità e prontezza d’intervento fuori dai confini nazionali, in operazioni congiunte e tese a neutralizzare le cause, anche con il ricorso all’intervento militare, in quelle aree geografiche da dove il terrorismo si dimostra in condizione di sviluppare linee aggressive.

L’insieme dei concetti espressi potrebbe, forse, essere raccolto nella crescente necessità di poter disporre d’un patrimonio informativo efficiente, dal quale attingere per interpretare i fenomeni e stabilire le strategie più idonee per il contrasto o la mitigazione.

In tale ottica il Segretariato Generale di Lione già dal 2009 ha promosso il noto “Progetto Geiger”, il cui scopo è quello di rendere sempre più efficace e veloce uno scambio di informazioni circa il traffico di sostanze radioattive, quindi, rendendo fruibile alla comunità internazionale un valido strumento di contrasto a crimini ambientali e sanitari. A tale scopo le diverse sezioni nazionali dei servizi di polizia, ovvero, l’Interpol sono in grado di analizzare dati confluiti in appositi data base per meglio analizzare traffici di materiale radioattivo, e quindi, prevenire potenziali attacchi terroristici di natura CBRN.

Si sono venuti a verificare, inoltre, casi in cui le cause della minaccia si siano concretizzate al di fuori dei confini nazionali, rendendo necessario un ricorso a mezzi d’intervento straordinari come l’intervento militare. In tale dimensione operativa, oltre al dispiegamento di truppe, è possibile programmare l’impiego di unità speciali delle forze armate per portare a compimento azioni letali o non letali, comunque funzionali alla riduzione delle minacce.

Nel tempo il rapporto tra le forme di terrorismo internazionale e la proliferazione delle armi di distruzione di massa si è fatto sempre più stringente, e come già evidenziato in diverse occasioni, non sono mancate le occasioni in cui attacchi di natura terroristica sono stati compiuti con l’utilizzo di materiale CBRN, dal primo attacco al WTC del 1993, al gas nervino diffuso nelle metropolitane di Tokyo nel 1995, fino alle tristemente famigerate lettere all’antrace del 2001. Ciò comporta la necessità, oggi, di valutare la possibilità che un attacco di natura CBRN si possa realmente concretizzare provocando danni incalcolabili sia dal punto di vista economico, sanitario che psicologico sull’intera popolazione globale.

Si consideri che un attacco di tale tipo non potrà mai provocare un numero di vittime elevato, ma sicuramente l’impatto psicologico sarebbe tanto elevato da far sorgere un comune e forte spirito di insicurezza.

Da qui l’esigenza di supportare le attività investigative e di Intelligence con adeguati strumenti normativi, nazionali e comunitari, in grado contrastare il traffico di materiale CBRN per un suo eventuale utilizzo con finalità criminali e terroristiche.

A livello nazionale appare di fondamentale e adeguata importanza quanto disciplinato dalla Legge n. 58 del 28 aprile 2015, recante “Ratifica ed esecuzione degli emendamenti alla convenzione sulla protezione fisica dei materiali nucleari del 3 marzo 1980, adottati a Vienna l’8 luglio 2005, e norme di adeguamento dell’ordinamento interno”, prevedendo con l’articolo 8 modifiche al codice penale e di procedura penale.

L’articolo 433 bis del codice penale, infatti, punisce qualsiasi condotta che concretizzi un “attentato alla sicurezza delle installazioni nucleari”. La legge ha introdotto misure tendenti a garantire la protezione fisica “attiva” e “passiva” sia delle materie che delle installazioni nucleari, affidando al Ministero dell’Interno la “protezione attiva delle installazioni nucleari e delle materie nucleari, anche in corso di trasporto”. La protezione passiva, invece, è affidata al Ministero dello Sviluppo economico supportato dall’Ispettorato nazionale per la Sicurezza nucleare e la radioprotezione (ISIN). L’Italia, inoltre, con la Legge n. 153 del 28 luglio 2016 ha dato ratifica ed esecuzione alla Convenzione del Consiglio d’Europa per la prevenzione del Terrorismo già sottoscritta a Varsavia il 16 maggio 2005, nonché, alla Convenzione internazionale per la soppressione di atti di terrorismo nucleare firmata a New York nel settembre del 2005.

Anche il Protocollo di Emendamento alla Convenzione europea per la repressione del terrorismo formalizzata a Strasburgo il 15 maggio 2003, la Convenzione del Consiglio d’Europa sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato e sul finanziamento del terrorismo fatta a Varsavia nel maggio 2005, nonché, del Protocollo addizionale alla Convenzione del Consiglio d’Europa per la prevenzione del terrorismo sottoscritto a Riga il 22 ottobre 2015. Detta legge ha definito anche la modifica all’articolo 270-quinquies del Codice Penale, ovvero, ogni azione che possa concretizzare il “Finanziamento di condotte con finalità di terrorismo”, ed inoltre, ha previsto l’inserimento dell’articolo 280-ter avente titolo “Atti di terrorismo nucleare” che prevede la punizione delle seguenti condotte:  

Reperimento per se o altri di materiale radioattivo.

­ Realizzazione di un nucleare o venirne in possesso.

­ Utilizzo di materiale radioattivo o di ordigno nucleare.

­ Utilizzo o danneggiamento di impianto nucleare tale da rendere possibile il rilascio, o il concreto pericolo che materiale radioattivo sia di fatto rilasciato. 

La legge prevede un inasprimento delle pene qualora le suddette condotte vedono l’utilizzo di materiale o aggressivi chimici o batteriologici.  Particolare attenzione è posta anche alla delicata fase del trasporto di materiale radioattivo dal suo luogo di utilizzo degli stessi, come laboratori sanitari, centri di ricerca o siti dedicati alla produzione di energia elettrica, o verso i depositi che devono accogliere i cosiddetti rifiuti radioattivi.

Oltre a dover preservare la salute pubblica durante le fasi di trasporto di plichi contenenti il suddetto materiale, anche il dover prevenire eventuali atti violenti, come sabotaggi, furti o sottrazione di materiale sensibile da parte di organizzazioni criminali o terroristiche deve è uno degli obiettivi principali che la Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica di Vienna (IAEA), disciplinati grazie alla “Regolamentazione IAEA per il trasporto in sicurezza del materiale radioattivo”.

A livello nazionale detta Regolamentazione ha permesso sino ad oggi di trasportare le materie radioattive con eccellenti livelli di sicurezza e di radioprotezione sotto il continuo monitoraggio dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), nonché, ha permesso anche di adeguare l’impianto normativo al fine di rispettare le suddette esigenze.

L’Agenzia internazionale per l’energia atomica (IAEA) e l’Unione europea con la direttiva 2003/122/EURATOM hanno voluto disciplinare normativamente le attività di controllo delle cosiddette sorgenti radioattive sigillate ad alta attività (High-Activity Sealed Sorces, HASS) e le sorgenti orfane.

La direttiva in questione, in vigore il 31 dicembre 2003, ha validità in tutti i paesi europei e obbliga gli Stati membri a introdurre adeguati ed efficaci sistemi d’individuazione di sorgenti radioattive orfane e di recupero delle sorgenti radioattive che sono il retaggio di attività del passato.

Con la direttiva comunitaria 2013/59/EURATOM48, che abroga la precedente ma prende in considerazione le disposizioni principali già attuate nel 2003, perfeziona le attività già disciplinato.

Per “sorgenti radioattive sigillate ad alta attività”, definite anche “sorgenti orfane”, si intendono tutti quei contenitori di materiale radioattivo incapsulato, in grado di emettere radiazioni oltre il limite massimo stabilito dalla direttiva 2003/122/EURATOM, e quindi nocive. La maggior parte di queste sorgenti sono adoperate nel settore della medicina, in laboratori specializzati nelle cosiddette prove non distruttive o con apparecchiature dedicare alla sterilizzazione di precisione. I nuclidi utilizzati sono di tipo a lunga vita e vengono adoperati quali sorgenti, il Cobalto-60, l’Iridio-192, lo Stronzio-90 e il Cesio-137, in apparecchiature quasi sempre mobili, condizione questa che rende il fattore sicurezza delle HASS particolarmente sentito dalla comunità internazionale.

Si consideri, infatti, che l’uso criminale o terroristico, ma anche una perdita accidentale di controllo delle HASS, possono causare pericolose sovraesposizioni a radiazioni. Si sono verificati in Europa all’incirca dieci casi di perdita di controllo di una sorgente HASS – registrata o meno – che hanno provocato un’esposizione non dannosa, ma sicuramente ancor più preoccupante è il rinvenimento di sorgenti radioattive e di oggetti contaminati nei rottami metallici. Detti casi si sono verificati soprattutto negli impianti per il trattamento di rottami metallici o nei pressi dei confini nazionali nel corso delle operazioni di esportazione degli stessi.

 

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA:

  • Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Protezione Civile, (2010). Piano nazionale delle misure protettive contro le emergenze radiologiche.
  • Decreto legislativo n. 52 del 6 febbraio 2007. Attuazione della direttiva 2003/122/CE Euratom sul controllo delle sorgenti radioattive sigillate ad alta attività e delle sorgenti orfane.
  • Assemblea parlamentare della NATO, (2005). Rilevazione di agenti chimici, biologici, radiologici e nucleari (CBRN): Presentazione degli aspetti tecnologici.
  • ISPRA – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, (2005). Regolamentazione IAEA per il trasporto in sicurezza del materiale radioattivo.
  • Legge n. 58 del 28 aprile 2015. Ratifica ed esecuzione degli emendamenti alla Convenzione sulla protezione fisica dei materiali nucleari del 3 marzo 1980, adottati a Vienna l’8 luglio 2005, e norme di adeguamento dell’ordinamento interno. (Gazzetta ufficiale n. 109 del 13.05.2015)
  • Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (12.09.2001). Risoluzione 1368. (http://www.un.org/Docs/scres/2001/sc2001.htm).
  • Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (28.09.2001). Risoluzione 1373. (http://www.un.org/Docs/scres/2001/sc2001.htm).
  • EUR-Lex (27.12.2001). Posizione comune del Consiglio, del 27 dicembre 2001, relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo.(http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:32001E0931:IT:HTML)
  • Termentini F., (2014). L’ISIS e la minaccia di attentati terroristici “sporchi”. (articolo stampa)

 

Per scaricare il pdf: La-minaccia-del-terrorismo-CBRNe