Menu Chiudi

26/06/2018

 

I DAZI TRA UNIONE EUROPEA E USA E IL TRIANGOLO CON L’IRAN

di Gabriele Ferrara

 

In un periodo in cui l’unità dell’Unione europea è fortemente minacciata, il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano costituisce un ulteriore motivo di preoccupazione per Bruxelles. In seguito alla tanto discussa scelta dell’amministrazione Trump, l’Unione europea si sta sforzando in tutti i modi di salvare l’accordo raggiunto nel 2015 anche senza quello che doveva essere il suo alleato principale. L’intenzione è quella di continuare a fare affari con la Repubblica islamica. Per questo motivo si è deciso di riattivare il c.d. blocking statute, un regolamento risalente al 1996 che, come ricorda Il Post, dovrebbe permettere alle aziende europee di ignorare le nuove sanzioni statunitensi all’Iran senza rischiare  di subire danni, proprio come accadde oltre 20 anni fa quando gli USA avevano deciso di sanzionare Cuba, Iran e Libia. Il provvedimento, peraltro, ebbe poco seguito tra gli stati membri [1]. Le sanzioni americane oggetto del contendere prevedono due componenti: la prima si applica ai cittadini e alle aziende Usa – che dunque non possono commerciare con l’Iran -, la seconda riguarda i soggetti non americani, ovvero tutte le società che compiano transazioni tramite i dollari, oppure se le aziende sono gestite da statunitensi o hanno una sede succursale negli States [2]. Queste dovrebbero dunque fare affari utilizzando l’euro e soprattutto dovrebbero inimicarsi gli Stati Uniti, circostanza che, soprattutto per chi ragiona quasi esclusivamente in termini economici, appare decisamente sconveniente.

Il presidente francese Emmanuel Macron ha ricordato che, qualora si dovesse utilizzare il pugno duro, ciò non verrà fatto in maniera forzata, ragione per cui appare difficile che l’Europa decida di intraprendere questa battaglia contro Washington. Quello che potrebbe far ben sperare è il caso Rusal – il più grande produttore russo di alluminio, colpito dalle sanzioni americane e che rifornisce il mercato mondiale del settore per il 6% -, che ha ottenuto una diminuzione delle sanzioni. Tuttavia, questo episodio potrebbe non essere particolarmente significativo, sia perché in questa circostanza il senso della “contro-decisione” era di non causare troppi danni al di fuori della Russia, sia perché i rapporti della Federazione con gli Stati Uniti sono ancora piuttosto ambigui. A dimostrazione di questo c’è la dichiarazione dello scorso 23 giugno da parte del segretario di Stato, Mike Pompeo, che ha detto ai microfoni della Msnbc che Trump potrebbe incontrare Putin “in un futuro non troppo lontano”, con l’imminente visita a Mosca del consigliere per la sicurezza nazionale, John Bolton, che dovrebbe fare da apripista [3].

Ad ogni modo, proprio per questi motivi,  lo scorso 4 giugno i Paesi europei firmatari dell’accordo nucleare con l’Iran hanno inviato una lettera alla Casa Bianca per chiedere che le imprese europee che operano in modo lecito in Iran siano esentate dalle sanzioni americane extraterritoriali, potendo così continuare a fare affari in Medio Oriente [4].

Tra le aziende che hanno sviluppato relazioni sempre più strette con Teheran negli ultimi tre anni ci sono Total – grande potenza petrolifera, che, a fianco di PetroChina, ha firmato un accordo da 5 miliardi di dollari per estrarre gas naturale in Iran -, case automobilistiche come Renault e Peugeot (che nel 2017 hanno venduto oltre 600,000 automobili proprio nel paese “incriminato”), Airbus – che costruisce aeromobili e che ha già venduto all’Iran 100 aereoplani – e SWIFT, un sistema internazionale che definisce i codici d’identificazione bancaria , grazie al quale nel 2016 le banche iraniane si sono potute ricollegare con il sistema globale [5].

Tuttavia, le premesse per una distensione dei rapporti tra Washington e Bruxelles non sono affatto buone,
dal momento che lo scorso 22 giugno anche l’Europa ha deciso di intraprendere una guerra commerciale contro gli Stati Uniti, dopo che questi ultimi avevano posto i dazi sulle importazioni di acciaio e alluminio rispettivamente al 25% e al 10%, divenuti operativi a partire dall’inizio di giugno. Per rispondere a una misura dal valore economico di 6,4 miliardi di dollari, i dazi europei hanno colpito prodotti simbolo del soft power USA come barche, moto (Harley-Davidson), tessili (i jeans Levi’s), prodotti agricoli, prodotti alimentari (burro di arachidi, succhi di arancia e mirtillo), whisky, sigarette, trucchi, magliette e carte da gioco (per queste ultime “solo” il 10%). Il valore complessivo stimato è di 2,8 miliardi di dollari, per una misura che, secondo la commissaria Ue al commercio, Cecilia Malmstrom, è stata “una risposta misurata e proporzionata” a quanto fatto dagli Stati Uniti [6]. Inoltre non è da escludere che Bruxelles possa porre altri dazi per pareggiare quelli posti dagli USA, che però è già pronta a colpire anche le automobili europee, come ha espressamente detto in un suo tweet: “A lungo l’Ue ha imposto dazi e barriere commerciali sugli Stati Uniti, le loro grandi aziende e i loro lavoratori. Se questi dazi e queste barriere commerciali non saranno presto rimossi, metteremo dazi del 20% su tutte le loro auto in arrivo negli stati uniti. Costruitele qui!” [7]. Se dal 2,5% attuale si dovesse passare addirittura al 25%, secondo Unicredit queste misure costerebbero al vecchio continente il dimezzamento dell’esportazione dei veicoli e circa 30 miliardi di dollari, di cui 20 considerando soltanto la Germania [8]. Sarà molto interessante vedere cosa accadrà, anche in considerazione della decisione della Harley Davidson di spostare parte della produzione delle sue moto fuori dagli Stati Uniti in risposta ai dazi europei. Si stima infatti che ognuna delle sue moto costerà in media 2.200 dollari in più (i dazi sull’import aumenteranno dal 6% al 21%). Peraltro, Harley-Davidson ha previsto che le nuove misure peseranno per 90-100 milioni di dollari l’anno, una cifra che la società non vuole scaricare sui consumatori, ma che vuole compensare aumentando la produzione internazionale nelle sue sedi in Thailandia, Brasile, India e Australia [9].  A questo punto si potrebbe dunque pensare che altre aziende seguano questa direzione, ma la questione rimane estremamente complessa e aperta a diverse soluzioni.

Intanto dall’Iran non sono arrivati segnali molto incoraggianti. Il suo ambasciatore presso l’Agenzia internazionale dell’energia atomica, Reza Najafi, infatti, lo scorso 6 giugno ha fatto sapere che “l’Iran non coopererà con gli ispettori atomici finché ci sarà lo stallo sull’accordo nucleare”. Se quest’ultimo dovesse saltare, l’Ayatollah Khamenei ha già fatto sapere che adotterà disposizioni per far costruire nuove centrifughe, così da aumentare la capacità di uranio della Repubblica islamica. Najafi poi ha evidenziato l’insofferenza del suo Paese rispetto alla quantità di tempo che l’Unione europea si sta prendendo per risolvere la questione, dicendo però anche che “adesso l’Iran non intraprenderà nuovamente attività proibite dall’accordo. Si tratta solo di lavori preparatori” [10].
Ciò nonostante, nel frattempo lo scorso 6 giugno Ali Akbar Salehi, guida dell’Organizzazione dell’energia atomica iraniana, ha inaugurato un’infrastruttura volta a sviluppare centrifughe avanzate presso Natanz, nel cuore dell’Iran [11]. Il centro dovrebbe essere operativo a partire dal mese di luglio. Pur non essendo una violazione degli accordi, si tratta di un segnale molto chiaro: l’Iran non aspetterà ancora a lungo una mossa decisa da parte dell’Europa, a cui già si era chiesta una svolta decisa entro la fine di maggio [12], ma che adesso appare ancora più stretta in una morsa che potrebbe diventare letale, in un contesto in cui si giocherà una parte importante del suo peso geopolitico per i prossimi anni.

 

 

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA:

 

[1] https://www.ilpost.it/2018/05/27/aziende-europee-affari-iran-sanzioni/

[2] https://www.economist.com/the-economist-explains/2018/05/17/the-effect-on-european-companies-of-american-sanctions-on-iran

[3] https://www.nytimes.com/reuters/2018/06/23/world/europe/23reuters-usa-russia-pompeo.html?partner=IFTTT

[4]https://twitter.com/BrunoLeMaire/status/1004246658010542080

[5] https://www.economist.com/business/2018/05/19/for-european-firms-resisting-american-sanctions-may-be-futile

[6] http://www.repubblica.it/economia/2018/06/22/news/dazi_usa_ue-199687912/

[7] https://twitter.com/realDonaldTrump/status/1010166772912320513?ref_src=twsrc%5Etfw

[8] http://www.repubblica.it/economia/2018/06/22/news/dazi_usa_ue-199687912/

[9] http://www.ansa.it/canale_motori/notizie/attualita/2018/06/25/dazi-harley-davidson-sposta-parte-produzione-fuori-usa-_89efb58c-8d15-4185-b095-8732ed974afa.html

[10] https://uk.reuters.com/article/uk-iran-nuclear/iran-stands-ground-on-nuclear-inspections-as-france-warns-of-red-line-idUKKCN1J21NW

[11] https://uk.reuters.com/article/uk-iran-nuclear/iran-stands-ground-on-nuclear-inspections-as-france-warns-of-red-line-idUKKCN1J21NW

[12] ttps://uk.reuters.com/article/uk-iran-nuclear-package/iran-wants-europeans-to-present-economic-package-by-end-of-may-official-idUKKCN1IQ0OD

 

 

per scaricare il pdf: i dazi tra ue e usa