marzo 5, 2017
GLI SCENARI DEL TERRORISMO INTERNAZIONALE
di Andrea Sperini
Gli ultimi mesi hanno evidenziato, in modo chiaro e lineare, come si stiano ridisegnando le dinamiche del terrorismo internazionale. La perdita di posizione dell’autoproclamato stato islamico ha ben fatto comprendere come la reale dimensione delle manifestazioni del terrorismo internazionale non possa che essere incompiuta e soggetta a continui mutamenti strutturali, capaci di ridisegnare nuove criticità o rafforzarne di esistenti ma incapaci di generare una “stabilità” di lungo periodo in un contesto che sia di contrapposizione convenzionale. Se la concreta esperienza di “governo” di Islamic State -IS- è sostanzialmente terminata ed in piena crisi sono le Wilayat, sue espressioni “provinciali” che ne hanno sancito una progressiva e preoccupante espansione militare, non si può affermare la stessa cosa rispetto le sue manifestazioni riconducibili al concetto di azione asimmetrica che, al contrario, proprio da ora si potrebbero proporre come preferito “criterio di azione”.
Un indicatore di evidente debolezza rispetto alla politica di contrasto “simmetrica” assunta per qualche tempo da IS ma di certo non il segno di una assoluta sconfitta. Come la storia insegna il terrorismo, anche laddove sembri essere debellato, nella maggior parte dei casi si ridetermina cambiando schemi formali e, talvolta, sostanziali. L’autoproclamato stato islamico sta certamente vivendo un momento di discontinuità; una catastrofe se volessimo usare i termini di una teoria scientifica, elaborata da René Thom, che individua con questo termine un punto di frattura strutturale che, contestualmente, rappresenta l’incipit di un nuovo corso attraverso il mutamento. Se una parte della cellula madre di IS continuerà a perseguire fedelmente il progetto di Al Baghdadi è plausibile ritenere che, approfittando della destrutturazione in corso, leader di secondo piano possano tenterà di costituire dei propri “katiba” -battaglioni- e cercare una propria, autonoma collocazione nell’universo jihadista. Una tendenza già vista, ed in qualche modo seriale in seno al fenomeno, che nel tempo ha largamente contribuito all’implementazione del numero di attori che giocano la partita del terrore. È la logica del riposizionamento dei mujaheddin in seguito alla chiusura e/o alla perdita d’interesse dei fronti del jihad che ha come conseguenza l’affluenza verso nuovi scenari di lotta e lo stabilizzarsi in determinate aree, principalmente caratterizzate da vuoti di potere istituzionale, per assumerne il controllo.
Ma a preoccupare non è, e non deve essere solo Islamic State, quanto piuttosto alcune sue indotte manifestazioni che ben presto potrebbero assumere caratteri autonomi, principalmente in occidente. Infatti, il concetto di adesione all’idea jihadista, veicolata nel mondo occidentale attraverso la recente attività di propaganda del califfato, in futuro potrebbe non essere più solo il sintomo indotto dalla proiezione di dinamiche “fuori area” ma, piuttosto, il seme di nuovi assetti ideologici che potrebbero trovare la loro ragion d’essere “in loco” collocando la questione, per cause ed implicazioni principalmente sociali, nella dimensione del terrorismo “interno”. Ma questo nel lungo periodo. Ad oggi sulla scena internazionale sono anche altri gli attori che continueranno a porre criticità. Contrariamente a quanto si pensi, lo storico “core” di Al Qaeda è assolutamente ben strutturato e pronto a riproporsi con nuove modalità di azione. La, quasi esclusiva, attenzione della Comunità Internazionale per Islamic State ha consentito ad Al Qaeda di riorganizzare la propria struttura, militare e finanziaria, e di “candidare”, in forma esclusiva, la propria leadership rispetto al grande progetto del “jihad globale”. Forte dello storico ruolo ma soprattutto di una diversa, seppur complessa, organizzazione periferica che lascia una quasi esclusiva dipendenza di azione alle branches regionali, Al Qaeda “Centrale” è sempre stata sostenuta dalla consapevolezza che il nemico deve essere combattuto con azioni da concretizzare in luoghi e tempi sapientemente pianificati. Lontana dall’irruenza che ha caratterizzato IS, Al Qaeda ha stabilito una quasi esclusiva ingerenza in determinate aree geografiche, stando ben attenta a non oltrepassare certi limiti con coloro che facciano parte della comunità musulmana e non siano catalogati come nemici dell’Islam.
Attenendosi a questi schemi, ancor più dopo l’esperienza di Islamic State, l’organizzazione qaedista riconquista terreno, soprattutto in Afghanistan, Pakistan, e sud est- asiatico ma anche in occidente. Altrove, si pensi al continente africano, Al Qaeda in Islamic Maghreb- AQMI- ha addirittura dato corso ad una vera e propria esperienza di connessione con il tessuto tribale di parte della regione del Sahel; attraverso matrimoni con donne delle comunità locali e generando un’economia, illegale ma reale, per mezzo della gestione di traffici illeciti, l’organizzazione terrorista esercita funzioni di fatto statuali. La centralità del terrorismo in seno alle logiche geopolitiche globali è ormai evidente; in concreto, e non più solo idealmente, è un fenomeno capace di condizionare oltre che spaventare, ma anche di creare nuove dinamiche socio-culturali modificando lo status quo. In quest’ultimo senso, lo si inizia a percepire anche nelle periferie europee, il terrorismo di matrice islamista, oggi principalmente ricondotto a Islamic State, assume la funzione di catalizzatore anti-sistema ponendosi come concreta alternativa culturale in un momento storico in cui a regnare è la confusione, e non l’ordine di sistemi tradizionali. Questo aspetto rappresenta, quantomeno per logiche di manifestazione, un momento inedito e ancora difficilmente comprensibile se analizzato unicamente attraverso i classici filtri interpretativi. La prima arma da opporre al terrorismo è dunque l’assunzione di consapevolezza rispetto al fatto che le sue manifestazioni sono riferibili all’emergere di nuove e solide realtà antisistema che costruiscono la propria identità sia attraverso l’esaltazione di caratteri richiamati dalla tradizione salafita, sia mediante l’accoglimento, e la successiva rielaborazione, delle disillusioni di chi, pur lontano da aspetti dottrinari di un Islam fondamentalista, non si senta più parte di un sistema. Tutto questo non può che preoccupare poiché mette in luce due aspetti fondamentali:
1) Una strutturale incapacità di comprendere per tempo la reale natura di alcune manifestazioni; ne è stato un esempio la vicenda dell’autoproclamato stato islamico del quale non si percepita per tempo né la reale natura né, tantomeno, quella che sarebbe stata la sua portata; un fenomeno che nonostante sia fortemente arginato continua a generare manifestazioni ed effetti.
2) La capacità del fenomeno terrorismo di mutare i propri assetti e di saper sfruttare, dopo averle ben comprese, le debolezze e criticità proprie dei contesti cui si contrappone; lo si è visto in Africa dove è riuscito a colmare vuoti di potere e di controllo sociale e lo si è visto, in Occidente dove è riuscito a massimizzare ed a mettere a sistema aspetti di contestazione sociale e generazionale. Come dire, la vera forza del terrorismo molto spesso risiede nella debolezza del suo avversario.
L’incrocio di queste due criticità rappresenta una proporzione inversa che evidenzia il rapporto tra la capacità di cambiamento del terrorismo e la non abilità di comprensione delle stesse da parte del resto del mondo; questo fa in modo che si arrivi ad analizzare a posteriori ciò che è stato in un momento in cui il fenomeno sta già cambiando, senza aver così modo di coglierne per tempo i reali indicatori. Di qui la necessità di un approccio pratico che sia teso all’osservazione più che alla catalogazione e alla descrizione pragmatica piuttosto che alla speculazione dottrinaria. Ridefinire gli schemi interpretativi e liberarsi di vecchi pregiudizi consentirebbe di avere un approccio più pratico verso un fenomeno, subdolo e polimorfo, con il quale si dovrà convivere.
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