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Migranti: Razzante, ‘ricorso magistrati Agrigento riafferma ragioni del diritto’

Intervista al Prof. Ranieri Razzante pubblicata su
AdnKronos il 24 Luglio 2019

“Era facile prevedere le mosse della procura contro questa avventata decisione del gip. Nel ricorso fa piacere ad un giurista notare – a prescindere dal caso concreto- che vengano riaffermate le ragioni del diritto e riportata nel suo naturale alveo interpretativo una vicenda che non deve suscitare emotività in chi amministra la giustizia. Innanzitutto deve essere ricordato che lo stato di necessità invocato per la capitana della Sea Watch andava concretamente accertato , così come prevede la legge, perché deve trattarsi – secondo il nostro codice penale – di una condotta proporzionata a questo dovere (peraltro legittimo ) nei confronti di persone in difficoltà”. Lo sottolinea all’Adnkronos Ranieri Razzante, docente di Legislazione antiriciclaggio all’Università di Bologna, consulente della Commissione Parlamentare Antimafia e del Prefetto Antiracket e direttore del Centro Ricerca su Sicurezza e Terrorismo, commentando il ricorso in Cassazione dei magistrati della Procura di Agrigento sulla scarcerazione di Carola Rackete, comandante della nave Sea Watch.

“Sin dal primo momento ho avuto modo di affermare che questa condizione non c’era in quanto la nave non era in affondamento e nemmeno vi era pericolo di vita per i suoi passeggeri. La Corte di Giustizia Europea in una storica sentenza del 1986 dichiarò che ogni Stato ha diritto di regolamentare l’accesso ai suoi porti. Aggiungiamo poi -prosegue Razzante- che la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva respinto il ricorso della nave in questione e la aveva bloccata al di fuori delle nostre acque territoriali. Quello che il più volte invocato diritto del mare prevede, insomma, non può essere interpretato come una indiscriminata tendenza ad autorizzare qualsiasi approdo, altrimenti sarebbe difficile anche la difesa da navi pirata!”.

“Ciò che è ancora più grave, e la procura di Agrigento lo fa intendere chiaramente, è che lo speronamento della motovedetta della Guardia di Finanza è un atto ostile e concretizza un attacco a nave da guerra, poiché in tale modo la definisce la nostra Corte Costituzionale nella sentenza numero 35 del 2000”. Dal punto di vista della politica del diritto e della geopolitica “bisognerà chiedere conto a coloro che hanno inteso premiare la capitana per avere in sostanza violato le leggi di uno stato sovrano. Un cattivo esempio -conclude- che potrebbe giustificare atti emulativi che sono sempre negativi a prescindere quando violano precetti normativi”.

Era facile prevedere le mosse della procura contro questa avventata decisione del gip. Nel ricorso fa piacere ad un giurista notare – a prescindere dal caso concreto- che vengano riaffermate le ragioni del diritto e riportata nel suo naturale alveo interpretativo una vicenda che non deve suscitare emotività in  Chi amministra la giustizia. Innanzitutto deve essere ricordato che lo stato di necessità invocato per la capitana della Sea Watch andava concretamente accertato , così come prevede la legge,  perché deve trattarsi – secondo il nostro codice penale – di una condotta proporzionata a questo dovere ( peraltro legittimo ) nei confronti di persone in difficoltà. Sin dal primo momento Ho avuto modo di affermare che questa condizione non c’era in quanto la nave non era in affondamento e nemmeno vi era pericolo di vita per i suoi passeggeri. la Corte di Giustizia Europea in una storica sentenza del 1986 dichiarò che ogni Stato ha diritto di regolamentare l’accesso ai suoi porti. Aggiungiamo poi che la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva respinto il ricorso della nave in questione e la aveva bloccata al di fuori delle nostre acque territoriali. Quello che il più volte invocato diritto del mare prevede, insomma, non può essere interpretato come una indiscriminata tendenza ad autorizzare qualsiasi Approdo, altrimenti sarebbe difficile anche la difesa da navi pirata! Ciò che è ancora più grave,  e  la procura di Agrigento lo fa intendere chiaramente, è che lo speronamento della motovedetta della Guardia di Finanza è un atto ostile e concretizza un attacco a nave da guerra, poiché in tale modo la definisce la nostra Corte Costituzionale nella sentenza numero 35 del 2000.

Colgo l’occasione per aggiungere che il nostro articolo 117 della Costituzione prevede Sì la natura sovraordinata delle convenzioni internazionali, ma non quando un decreto governativo preveda prescrizioni come quelle della Protezione dello Stato.

Ancora, laddove necessario, preoccupa la definizione di questa decisione censurata quando la procura nel ricorso parla di “errori”.

In casi come questi, ma in generale quando si tratta della tutela dei diritti di ciascun essere umano, Bisognerebbe maneggiare con cura i nostri codici e le nostre leggi.

Dal punto di vista Poi della politica del diritto e della Geopolitica bisognerà chiedere conto a coloro che hanno inteso premiare la capitana per avere in sostanza violato le leggi di uno stato sovrano. Un cattivo esempio che potrebbe giustificare atti emulativi che sono sempre negativi a prescindere quando violano precetti normativi.