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Modelli di comunicazione strategica a supporto dell’Hybrid Warfare: L’apparato di propaganda di Hamas

Di Massimiliano Frenza Maxia

ABSTRACT

La comunicazione strategica, sempre esistita, nell’ultimo decennio ha assunto un ruolo centrale nell’ambito dei mezzi a supporto della guerra ibrida. La Russia ad esempio ne ha fatto un asset importante e centrale al pari se non maggiore delle tradizionali componenti militari. Nella celebre Dottrina Gerasimov[1] il capo di stato maggiore della difesa della Federazione Russa ha addirittura teorizzato un rapporto di proporzione di 1 a 4 fra misure militari e misure non strettamente militari, ove per queste ultime un ruolo fondamentale è assegnato alle Info-ops[2]. Se un attore statuale come la Russia, ancora oggi dotato di una capacità nucleare di primo piano, nonché di un esercito convenzionale, secondo solo a quello degli USA, ritiene la comunicazione strategica così importante, a maggior ragione essa diviene centrale nel modello strategico di un attore non statuale e dotato di minori risorse qual è Hamas.

La presente analisi si propone quindi di offrire una breve ma puntuale panoramica generale sul modello comunicativo del movimento palestinese, focalizzando l’attenzione su alcuni momenti significativi della guerra d’attrito con Israele, in particolare lo scontro del 2014 (invasione della IDF della Striscia di Gaza[3]), o su dinamiche di guerra ibrida in cui Hamas ha abilmente mixato elementi di comunicazione strategica e Lawfare[4], servendosi di scudi umani.

UNA BREVE PANORAMICA SU HAMAS: ORIGINI DEL MOVIMENTO E SVILUPPI RECENTI

Hamas, acronimo di Ḥarakat al-Muqāwama al-Islāmiyya (Movimento di resistenza islamico), fondato nel dicembre del 1987 dagli appartenenti al Centro Culturale Islamico di Gaza, sulla spinta degli insegnamenti spirituali e politici dello sceicco Shaykh Ahmad Yasin[5], rappresenta oggi il principale avversario di Israele nei territori occupati. Il Movimento, nato all’epoca della prima Intifada, come braccio operativo palestinese della Jamaʿat al-Iḫwān al-muslimīn, ovvero dei Fratelli Musulmani, è divenuto oggi l’organizzazione palestinese egemone nella striscia di Gaza. Dai territori della Striscia conduce da anni una guerra d’attrito nei confronti di Israele, fatta di attentati suicidi, lanci di razzi, palloni incendiari e infiltrazioni in territorio israeliano tramite tunnel. L’Unione Europea[6], gli USA e diversi altri stati considerano Hamas un’organizzazione terroristica, Russia, Turchia, Iran e Qatar divergono da tale posizione. Alcuni Stati, come ad esempio il Regno Unito[7] considerano organizzazione terroristica solo l’ala militare di Hamas, le Brigate Izz al-Din al-Qassam.

I PARADIGMI DELLA COMUNICAZIONE STRATEGICA E L’APPLICAZIONE DI HAMAS

Al fine di inquadrare il contesto comunicativo in cui si muove Hamas, è necessario preliminarmente tracciare un quadro chiaro di cosa s’intende per comunicazione strategica ed i termini che a diverso titolo ad essa riferiscono.

Per comunicazione strategica in letteratura si intende la capacità di qualsiasi organizzazione, quindi non solo aziende e grandi corporation, ma anche organizzazioni no-profit, governi e gruppi di attivisti politici e terroristici, di impegnarsi efficacemente nella comunicazione persuasiva. Tale opera persuasoria non è limitata alla sola propaganda in senso stretto, ma investe una serie di ambiti fortemente diversi tra loro in una pura logica cross-border (si veda la figura di seguito). Ma cosa significa comunicare?

“Non si può non comunicare”, la celebre affermazione, incipit ai 5 assiomi della comunicazione umana, elaborati Paul Watzlawick[8], esponente di spicco dalla scuola di Palo Alto, rappresenta di per sé già essa stessa una sentenza sull’ambito di questa analisi. Tale affermazione valida per l’essere umano, di tutte le latitudini ed etnie, assume un significato centrale anche nella comunicazione politica, ivi compresa quella di Hamas. Ogni gesto mediatico dell’organizzazione palestinese, dal mostrare i danni di un attacco israeliano, mettere in rete una canzone di resistenza, celebrare un martire attraverso un video su YouTube o produrre trasmissioni attraverso una rete televisiva o una radio, rappresenta di per sé un elemento di comunicazione strategica. Tali elementi vengono veicolati tramite una pluralità di media (mediante la voce e il passaparola, alla radio, in tv, sui social media) e giocano tutti sul principio di asimmetria comunicativa, teorizzata anch’essa dal sociologo di Palo Alto[9]. I destinatari di tali comunicazioni non sono quasi mai sullo stesso piano, il medium trasmettitore gioca la relazione di comunicazione su un piano di forza, facendo leva sulla sproporzione di mezzi dell’attaccante, a prescindere se l’attacco è “gratuito” o percepito come tale (ad esempio un omicidio mirato mediante un missile lanciato da un drone)  o se è frutto di una reazione (come ad esempio lo strike di una postazione di lancio di razzi Qassam o  l’abbattimento di un pallone incendiario). Infatti, contrapponendo ai missili guidati e ai droni, quindi alla superiorità tecnologica, la retorica del giovane combattente palestinese armato di fionda e pietre, ovvero la retorica della Prima Intifada, nonché il ribaltamento, in termini di “ancoraggio e oggettificazione” (parole chiave di cui discuteremo a breve), di un mito fondativo d’Israele, ovvero Davide contro Golia, Hamas riesce comunque a porsi un piano asimmetrico, in posizione di vantaggio.

Tuttavia, una retorica capacitiva non è mai univoca, spesso le narrazioni sono volutamente in conflitto. Come vedremo più avanti nell’analisi, Hamas utilizza alternativamente video in cui si vede la morte e la distruzione provocata dalle incursioni israeliane, ma anche video che mostrano una Gaza felice e addirittura ambita meta per vacanze e svago[10].

Allo stesso modo è una narrativa volutamente confliggente, dual use si potrebbe dire, quella che al ragazzo lanciatore di pietre, affianca le manifestazioni di potenza militare delle brigate Izz al-Din al-Qassam, in cui fanno bella mostra i famosi razzi “qassām”. Hamas ha interesse a mostrarsi debole, ma anche forte e se poi, a tale strategia affianca un uso efficace delle nuove tecnologie (i social network), la capacità di determinare i flussi della comunicazione strategica,  finisce per divenire ancor più incisiva e virale.

Se Watzlawick ci aiuta ad introdurre il tema della comunicazione in generale, è lo psicologo sociale Serge Moscovici, con la sua Teoria della rappresentazione sociale[11], a fornirci il quadro teorico di riferimento in termini di comunicazione strategica.

Tale apparato teorico è stato recentemente riletto da Filippo Tansini (analista SOCMINT), in un recente studio pubblicato per lo Stratcomcoe della NATO[12]. Dalla rilettura in questione emergono due grandi leggi a supporto della comunicazione strategica:

  • La comunicazione efficace passa attraverso due momenti, quello dell’ancoraggio (far percepire al proprio pubblico di riferimento un’emozione che peschi nella pancia, più che nella razionalità), e quello dell’oggettificazione (aiutare il processo di trasformazione di qualcosa di astratto in qualcosa di familiare, in un’idea quindi dalla capacità virale);
  • La comunicazione e la persuasione non sono due ambiti d’azione differenti, entrambe le componenti, di fatto sinonimi, non hanno luogo d’esistere in un ipotetico spazio, laddove esistesse in natura, in cui vi è assenza di conflitto, di asimmetrie o di tensioni.

Un esempio di uso efficace in chiave offensiva dell’ancoraggio e dell’oggettificazione è quello delle immagini legate alla rivolta delle pietre. Nell’immagine che segue si vede quello che sembra essere poco più che un bambino, che prende di mira un carro Merkava con un lancio di pietre.

L’immagine potrebbe essere recente o vecchia, esser stata scattata a Gaza come in Cisgiordania, essere addirittura frutto di un abile fotomontaggio. Non importa. Il punto è che è un’immagine ricorrente, utilizzata dai media mainstream insieme a centinaia d’altre molto simili, per descrivere brevi trafiletti di cronaca su fatti che vanno avanti dal 1948. Cos’ha quindi di speciale? Semplicemente è virale. Virale perché parla alla pancia degli israeliani di sinistra e perché lo fa rievocando il mito di Davide contro Golia. Sintetizzando lavora sull’ancoraggio e sull’oggettificazione, in estrema sintesi colonizza l’immaginario collettivo. 

Partendo da tali presupposti, il sociologo francese identifica tre momenti consequenziali attraverso cui la comunicazione strategica, orientata alla persuasione, va a processarsi: la propaganda, la propagazione e la diffusione.

Tali elementi processuali sono ampiamente utilizzati da Hamas. Vediamo in che termini:

  • Propaganda, ovvero il rinnovo costante delle ragioni alla base del conflitto e dei parametri di identificazione del nemico (ancoraggio più oggettificazione), a vantaggio delle idee del gruppo dominante (ad esempio la leadership militare di Hamas negli ultimi anni sempre più preponderante rispetto all’ala politica), che ha interesse tenere unita la popolazione di Gaza rispetto a possibili ipotesi di accordo o mediazione, nonché a mantenere alta la simpatia delle ragioni di Hamas nel mondo arabo (Qatar), persiano (Iran) e in occidente;
  • Propagazione, ovvero l’azione costante orientata a far sì che le idee e i messaggi della propaganda siano collettivamente legittimati e rinforzati, soprattutto in occasione dell’immissione di elementi di novità (come ad esempio la dichiarazione del 2017 che introduceva un parziale ma significativo cambio di rotta nello statuto di Hamas, rispetto al riconoscimento di Israele[13]);
  • Diffusione, ovvero la distribuzione e la disseminazione di messaggi caratterizzati dall’essere concreti, attrattivi e rapidi (come ad esempio l’esposizione di vittime innocenti, spesso bambini, dei raid dell’aviazione israeliana).

Fatte tali premesse è necessario trattare, seppur brevemente, un ulteriore aspetto centrale legato alla viralità dei messaggi di propaganda: la semiotica alla base di una efficace (e quindi virale), comunicazione strategica. A supporto di tale intento appare utile citare i ragionamenti di due studiosi italiani, Paolo Fabbri e Federico Montanari[14].

Assumendo la definizione largamente condivisa di semiotica come la disciplina che studia i sistemi e i processi di significazione e costruzione del senso di un testo, preme allargare il perimetro di studio della disciplina non più ai soli testi letterari, scritti o verbali, ma andando oltre, a qualsiasi forma di espressione e quindi sistema di significato, prodotta da una data cultura. Sintetizzando quindi un campo di analisi che parte dai testi, transita per opere d’arte, musica, modi di vestire o mangiare e arriva fino ai meme su Twitter. Insomma, non tutto è testo, ma tutto può essere letto sub-specie texti.

Oggi possiamo quindi affermare che la propaganda, soprattutto quella sui social, ha una sua estetica ben definita, un’estetica che ha precise significazioni e quindi obiettivi. Jurij Lotman, importante semiologo, ha individuato una “iper-estetizzazione” e teatralizzazione già nelle dinamiche delle guerre napoleoniche[15]. Allo stesso modo possiamo immaginare di poter ricercare il modello di razionalità strategico-comunicativa di Hamas, andando a confermare, seppur attualizzandole ai tempi della comunicazione social, le dinamiche di guerriglia e rivolta araba già in uso ai tempi di Lorence d’Arabia, ovvero pratiche da guerra asimmetrica, una guerra combattuta con scontri armati (guerriglia beduina contro le truppe regolari ottomane), ma anche di scontri semiotici (Lorence che vestito in abiti arabi entra al Cairo e annuncia al generale Allenby la presa di Aqaba), quindi una guerra asimmetricacon armi e per segni(una semio-guerra)[16].

Nella semio-guerra, combattuta nella “semiosfera” (nella definizione di Lotman[17]) e quindi nel sottoinsieme della “infosfera” (nella definizione di Floridi[18]), l’obiettivo della propaganda non è solo arruolare le cuori e le menti del proprio uditorio di riferimento, interno od esterno, ma anche agire sulle decisioni del nemico attraverso quello che la dottrina militare russa definisce “controllo della reazione”[19], ovvero il vero e unico indicatore di successo di una Info-ops. Tale azione consiste nel:

  • Manipolare, ovvero spingere il nemico a fare o non fare;
  • Dissuadere, ovvero sconsigliare di mettere in campo una certa opzione;
  • Sedurre, ovvero manipolare l’opinione pubblica avversaria in modo che faccia da freno della reazione (militare) della controparte.

Tali risultati, non banali da ottenere, devono passare attraverso un processo di “inquinamento dell’immaginario collettivo”, giocando la carta di un palinsesto informativo virale, da contrapporre al discorso mainstream. È la “semiotica della viralità”[20] che, facendo leva sul più potente tra i diversi bias capaci di condizionare la mente umana, quello della conferma, favorisce tutto quello che sembra accordarsi con le nostre opinioni precedenti e che quindi suona familiare e giusto alle nostre orecchie” (Nickerson 1998). Qui, è evidente, torna pesantemente il tema del controllo della reazione.

È a questo punto che interviene l’utilizzo cross-mediale delle diverse piattaforme disponibili per Hamas, i social come Facebook, Twitter, il canale Youtube, ma anche la radio Al Quds e la tv Al Aqsa (con capacità di trasmissione del segnale anche in Israele), che diventano echo chambers[21] in cui l’utente destinatario finale  accoglie tra i tanti, i soli frammenti informativi e mediali che confermano le posizioni ideologiche già acquisite e di cui si circonda e si nutre (Marino e Thibault 2016).

La propaganda di Hamas, quando efficace, è creduta non tanto per la verità o verosimiglianza del messaggio in sé, quanto poiché direzionata verso una categoria di riceventi che già sanno o sospettano quelle cose, poiché vi ritrovano i così detti “informanti” (Barthes 1969[22]), ovvero quegli elementi volti a radicare l’invenzione o l’alterazione funzionale della realtà, nonché autenticare e referenzializzare le narrazioni. Gli informanti fanno leva quindi sul confirmation bias, soprattutto in soggetti fortemente attivi sui social e inclini a favorire in maniera acritica la circolazione di notizie non verificate. Tipicamente soggetti riconducibili a torto o a ragione ad una posizione fortemente critica verso Israele, non per forza portatori di idee anti- sioniste o anti- semite, anzi, ma ideologicamente vicini alla causa palestinese, utenti quindi che non aspettano altro che di sentire o leggere certi messaggi e che si attivano da subito per contribuire a diffondere le notizie, perché tutti devono sapere (viralità e contagio).

CASE STUDY 1: LA COMUNICAZIONE STRATEGICA DURANTE LA GUERRA DI GAZA DEL 2014

                Nel periodo intercorso fa l’8 luglio 2014 e il 26 agosto 2014, la striscia di Gaza è stata teatro di un violento scontro fra l’IDF e le Brigate Izz al-Din al-Qassam, l’ala militare di Hamas. L’operazione “Margine di Protezione” (in ebraico Mivtza ‘tzuk Eitan, letteralmente “Operazione Scogliera Inespugnabile”), fu avviata da Israele per interrompere il lancio di razzi Qassam dalla striscia verso Israele, distruggere i tunnel d’infiltrazione e catturare i terroristi macchiatisi del rapimento e dell’uccisione di tre adolescenti israeliani, avvenuto il 12 giugno precedente (Eyal Yifrah, 19 anni, Gilad Shaar, 16 anni, e Naftali Frenkel, 16 anni), operazione imputata alle Brigate al Qassam, di cui Hamas aveva ammesso la responsabilità.

Il bilancio della guerra è stato devastante: oltre 2.100 vittime a Gaza, tra cui tra i 495 e i 578 bambini, e circa 11.100 feriti. Sul fronte Israele i numeri sono più chiari: 66 soldati, 5 civili (tra cui un bambino) e un cittadino tailandese sono stati uccisi, a cui si aggiungono 469 soldati e 256 civili feriti. Il ministro della salute di Gaza, le Nazioni Unite ed alcuni gruppi umanitari hanno riportato una percentuale del 69-75% di civili tra le vittime palestinesi, mentre gli ufficiali dell’esercito israeliano hanno attestato tale percentuale al 50%.

Fatte tali premesse, utili a circoscrive il quadro di riferimento in cui è andata ad innescarsi la propaganda di Hamas, nel durante e nel dopo, è possibile procedere all’analisi della stessa, attingendo a diversi studi pubblicati nei mesi e negli anni successivi al conflitto, uno su tutti quello effettuato da Arab & Media Society, centro studi legato all’Università del Cairo[23].

Lo studio[24]  ha dimostrato come la Guerra di Gaza del 2014 è stata combattuta da Hamas anche nel quinto dominio, il cyberspazio, attraverso un uso sapiente dei social media. L’analisi del traffico Twitter di Hamas ha permesso di individuare una serie di account attivi nelle ore e nei giorni dello scontro, nel periodo che va dal rapimento dei tre studenti israeliani (il 12 giugno), al giorno dopo l’accordo di cessate il fuoco (27 agosto):

  • l’account ufficiale di Twitter di Hamas in arabo ” حركة حماس ” (@hamasinfo), che in genere ha ristampato link di notizie integrando con brevi sintesi, si è concentrato su sei topic ricorrenti: incentivi positivi; persecuzioni e minacce; danni di guerra; esibizioni di forza militare; critiche e attacchi; attività diplomatiche.
  • un altro account non ufficiale, “ غزة ORA ” (@gazapl), ampiamente attivo durante il conflitto con il compito di diffondere in rete un gran numero di fotografie, fumetti e grafici statistici, usando hashtag come # غزة _ تحت _ القصف (Gaza sotto bombardamento), #GazaUnderAttack o # غزة _ تقاوم  (“Gaza _ Resiste”).

L’analisi ì ha mostrato un uso professionale e tattico dei due account. Se @hamasinfo è stato utilizzato principalmente in chiave “diplomatica” e governativa, avendo come obiettivo comunicare a livello internazionale ed interna la posizione politica e militare durante il conflitto; l’account @gazapl si è orientato più verso le opinioni pubbliche arabe e mondiali, con la mission di “vendere” le miserie e il dolore provocato dai raid israeliani sulla popolazione inerme.

Probabilmente tra le due interazioni, quella più interessante è quella determinata dal canale non ufficiale che, non a caso, ha lavorato più sulle immagini che sui testi, assumendo correttamente che la viralità di una immagine è molto più potente e rapida. L’account @gazapl, ha ottenuto infatti un numero di retweet di circa due cifre, rispetto al numero dei suoi follower (all’incirca 100.000 nel momento del conflitto). Tuttavia, l’interazione come spesso accade non si è limitata all’ecosistema Twitter, infatti oltre ai retweet, i contenuti di questo account sono stati spesso riprodotti da altri utenti su altre piattaforme come Pinterest e Instagram.

Come detto precedentemente le immagini diffuse in rete erano principalmente immagini orientate a mostrare le sofferenze e le vittime, spesso bambini e donne (quindi civili), delle incursioni israeliane. Fra le migliaia di immagini messe in rete, tre in particolare hanno prodotto un volume di interazioni molto significativo. Le tre foto risalgono tutte ad uno dei momenti più violenti dello scontro del 2014, quella che è passata alla storia come Battaglia di Al-Shuja’iya[25]

In una foto pubblicata alle 6:04 del 20 luglio, un vecchio si inchina su un tavolo su cui sembra essere poggiata una barella metallica, toccando con il viso, presumibilmente in lacrime, un piede che calza ancora una scarpa. Qualcuno da dietro lo consola, sullo sfondo si vede gente in camice bianco. Non è possibile vedere né la faccia del vecchio, né il resto del corpo di quella che appare come una persona deceduta. L’immagine che ha ricevuto 200 retweet, riportava il seguente testo “Quando un padre dice addio a suo figlio sul piede, perché non riesce a trovare un altro posto adeguato sul suo corpo. Sei a #Gaza, #Al-Shuja’iya massacre #Gaza sotto bombardamento”.

Le parole che accompagnano il tweet erano esattamente le stesse apparse in un precedente tweet delle 3:31 del mattino dello stesso giorno, postate sull’account @hrebat (con una interazione di 147 retweet). La prima apparizione dell’immagine è invece, probabilmente, quella postata da Khaled ElAhmad (@Shusmo) alle 03:26, dove il corpo veniva identificato come quello del “martire” Khaled Hamad, giornalista che stava coprendo gli scontri in atto quel 20 Luglio. In un tweet di @LinahAlsaafin delle 6:29 in inglese, il testo “confermava”, l’identità dell’uomo: “Khaled Hamad, il giornalista che è stato ucciso mentre copriva il massacro di Shuja’iyeh”.

Di lì in poi l’informazione diviene virale, alle 19.01 del 21 Luglio la foto è pubblicata da @ArabicBest (ricevendo 1113 retweet). Il testo che l’accompagnava è però parzialmente cambiato: “Impressionante: il padre di un martire in #Gaza bacia il piede di suo figlio per dargli l’addio! Non pensate a quelli che sono stati uccisi sul sentiero di Allah, sono vivi con il loro Signore”. Come vediamo è assente qualsiasi riferimento all’identità del morto, che però viene elevato al ruolo di “martire”. Allo stesso modo il riferimento al “sentiero di Allah”, sposta la narrazione su un diverso piano. Chiunque sia il morto, quale che fosse il suo lavoro o ruolo nel conflitto (giornalista, semplice civile, militante delle Brigate Qassam), il morto smette d’esser una persona e assume il ruolo di martire morto combattendo per il jihad. Oggi, a cinque anni di distanza, quell’immagine è ancora disponibile in rete.

La seconda immagine pubblicata da @gazapl alle 6:24 del 20 luglio, mostrava la mano di un adulto intenta a raccogliere un piccolo piede (quello di un bambino presumibilmente), mezzo carbonizzato e distaccato dal corpo. Si vedono detriti sullo sfondo e il messaggio di accompagno recita: “Questo è ciò che rimane di un bambino dopo il massacro di #Al-Shuja’iya”. L’immagine è diventata virale dal 20 luglio in poi, essendo stata riprodotta da vari account, appartenenti non solo alla semiosfera araba, ma estesi da un pubblico molto più ampio. Anche in questo caso i retweet sono stati migliaia e l’immagine sui social media è divenuta il simbolo della “brutalità” di Israele. A riprova di ciò abbiamo i retweet arricchiti da hashtag come “#Fascist” e “#freePalestine”. Tale narrazione è stata talmente potente e virale che gli stessi algoritmi di Google l’hanno catalogata come: “Israele che uccide civili innocenti”.

La terza immagine pubblicata alle 17:58 del 21 luglio, raffigurava una ragazza morta con affianco i resti di un altro corpo ed il testo che potrebbe essere tradotto: “Visioni dolorose… e continua ancora… Questo è ciò che rimane di sua sorella. Un addio di sangue e sacrificio. #Gaza sotto bombardamento”. Diversi altri account hanno iniziato a divulgare questa immagine fin dal successivo 22 luglio che, per motivi oscuri della rete, ha finito per attrarre un’attenzione significativa da parte del pubblico di lingua spagnola.

A questi esempi se ne potrebbero aggiungere diversi altri, ancora oggi è sufficiente andare su Google Immagini e vedere decine di foto risalenti al massacro dell’estate luglio del 2014, a dimostrazione che Hamas ha sfruttato in maniera molto potente la carica di viralità offerta da foto che ritraggono immagini di massacri di civili, massacri che sono avvenuti, è inutile negarlo, ma che in molti casi sono stati provocati dalla pratica di Hamas di servirsi di scudi umani, applicando l’arma del Warfare.

CASE STUDY 2: L’USO DEGLI SCUDI UMANI AI FINI DELLA COMUNICAZIONE STRATEGICA

Nel mese di agosto del 2014, all’indomani della copertura mediatica del massacro di Al-Shuja’iya, l’attenzione di Hamas si è concentrata ancora una volta sugli attacchi israeliani contro civili e bambini. In particolare il 23 agosto, l’IDF ha bombardato un edificio residenziale “Burj Al-Zāfer”, che riteneva essere utilizzato come quartier generale di Hamas, causandone il crollo. Questo incidente ha anche provocato la condanna internazionale di Israele, complice anche la capacità comunicativa di Hamas di accusare Israele di crimini di guerra.

L’evento ha avuto una tale copertura mediatica che addirittura il New York Times vi ha dato ampio risalto riportando come incipit dell’articolo del 23 agosto 2014, l’intera sequenza dell’attacco[26].

Ancora una volta è sufficiente andare in rete per riscontrare l’efficacia delle tattiche di Hamas. Nell’articolo su The Telegraph, di ben quattro mesi dopo, viene dato ampio spazio allo strike israeliano sul Burj Al-Zāfer a seguito di una presa di posizione di Amnesty International. Interessante è anche l’incipit dell’articolo a firma del corrispondente Robert Tait da Gerusalemme: “Israele ha commesso “crimini di guerra” distruggendo quattro edifici storici a Gaza – tra cui tre condomini a più piani – nella fase finale della guerra di 50 giorni della scorsa estate con Hamas, secondo quanto riferito da Amnesty International martedì”.

Di per sé non vi è nulla di fazioso o partigiano nell’articolo e tantomeno nell’incipit, tuttavia per le logiche di informazione su internet, in cui l’attenzione del lettore è di pochi secondi e a colpire sono le immagini e le prime due/tre righe di un articolo, ciò che rimane è il messaggio che Israele colpisce obiettivi civili, provocando morti innocenti e commettendo crimini di guerra. Esattamente l’effetto desiderato da Hamas.

Anche in questo caso è interessante andare a leggere le riflessioni contenute in una pubblicazione del già precedentemente citato Stratcomcoe NATO, intitolata HAMAS’ USE OF HUMAN SHIELDS IN GAZA[27]. Nell’analisi in questione viene rimarcato l’utilizzo e i risultati ottenuti da Hamas nell’uso di scudi umani, fattispecie costantemente applicata ai seguenti ambiti:

  • posizionamento di postazioni di lanciarazzi, artiglieria e mortai, in prossimità di aree densamente abitate, spesso vicino ad edifici protetti dalla Convenzione di Ginevra (scuole, ospedali o moschee);
  • posizionamento di infrastrutture militari, centri di comando, infrastrutture critiche, deposito di armi o importanti strade d’accesso, vicino o in prossimità di aree civili;
  • protezione di cellule terroristiche, covi o uomini feriti o in pericolo poiché minacciati da omicidi mirati da parte dell’IDF, in prossimità di aree civili, residenziali o commerciali;
  • impegno sul campo delle forze dell’IDF in aree densamente popolate, non mancando di utilizzare i civili per compiti di intelligence.

Tale spregiudicato utilizzo dei civili comporta per Hamas la possibilità di giocare la partita con l’IDF in uno scenario win-lose, ovvero una situazione in cui è sempre e solo una parte (Hamas) a vincere. Vediamo perché:

  • se l’utilizzo della forza militare israeliana produce un aumento esponenziale di vittime civili, Hamas può muovere la macchina di propaganda attivando l’uso combinato di social media, tv e giornalisti indipendenti, avendo buon gioco nell’utilizzo dell’arma del Lawfare per accusare Israele di crimini di guerra contro civili innocenti; 
  • diversamente, se Israele autolimita la propria forza d’urto per non colpire civili innocenti, limitando il più possibile gli strike, Hamas ha ottenuto il “controllo della reazione”.

La pratica dell’uso degli scudi umani non è del resto un qualcosa che Hamas si affanna a negare. In una conferenza stampa del 2018, Khaled Meshaal, all’epoca leader politico del movimento pronunciò le seguenti parole: “Se voi siete talmente pazzi da decidere di entrare a Gaza, noi vi combatteremo. Dovrete fronteggiare non solo centinaia di combattenti, ma anche un milione e mezzo di persone, guidate dal desiderio di diventare martiri”[28].

Un’altra indicativa conferma di tale orientamento viene da una frase pronunciata da un portavoce di Hamas Mushir Al-Masri nel 2006, allorché l’IDF ha avvertito telefonicamente che avrebbe colpito l’abitazione di uno dei capi dell’organizzazione, Wā’el Rajab Al-Shaqrā, a Beit Lahiya[29]. Il portavoce di Hamas affermò che i cittadini continueranno a difendere il loro orgoglio e le loro case, facendo da scudi umani, fin quando il nemico non si ritirerà.

In ultimo, interessante anche la dichiarazione di un altro portavoce di Hamas, Sāmī Abū Zuhrī, risalente al luglio 2014 pronunciata quindi nelle settimane più calde dell’invasione israeliana[30]: “Il fatto che la popolazione sia felice di sacrificarsi contro gli aerei israeliani con l’obiettivo di proteggere le proprie case, dimostra da sé la validità di tale strategia. Hamas chiama quindi il nostro popolo ad applicare tale pratica”.

CONCLUSIONI

Per comprendere appieno il modello comunicativo di Hamas è necessario risalire ai paradigmi storici del movimento, nel momento in cui andò a crearsi e svilupparsi. Esso, come correttamente analizzato da diversi studiosi (ad esempio Campanini e Mezran 2010), ha intrapreso all’epoca della sua genesi un percorso formativo che ha ricalcato il pensiero gramsciano, in quella che è probabilmente la più importante intuizione del filosofo di Ales, ovvero il concetto di “egemonia”. Una strategia rivoluzionaria a lungo termine che miri alla presa del potere, non può non passare che per la creazione di una forza contro-egemonica che abbia come primo obiettivo la conquista dei cuori e delle menti dei palestinesi, cuori e menti da contendere e strappare ad Al-Fatah[31] .

Allo stesso modo, nella tattica di Hamas, solo in un secondo momento le forze (insurrezionali e comunicative), dovevano essere impiegate contro il nemico esterno, Israele. Tale passaggio doveva quindi avvenire non prima che il movimento avesse ottenuto un secondo importante passaggio tattico in termini gramsciani, ovvero la saldatura fra la base popolare (la popolazione povera di Gaza e in generale gli esclusi dal sistema di potere di Al-Fatah) e l’élite rivoluzionaria a capo dell’organizzazione[32].  Tale passaggio è del resto perfettamente chiarito dalle parole dello Shaykh Yāsīn, padre spirituale di Hamas il quale auspicava una prima fase di preparazione delle menti e dei cuori, relegando l’azione militare solo ad un secondo stadio[33].

Assumere il controllo dell’egemonia culturale e morale significa saper esercitare un potere persuasivo olistico, ovvero capace di agire su abitudini morali, culturali e sociali dei singoli, nonché aver la capacità di proiettare all’esterno una parte di tale potere, per agganciare le menti e i cuori di una parte dell’opinione pubblica del nemico, nonché dell’opinione pubblica mondiale[34]. Tale passaggio è impossibile senza un efficace, costante e assertivo modello di comunicazione strategica.

Il modello di comunicazione strategica adottato da Hamas, in larga parte simile a quello di Hizb Allāh (o Hizbullāh) libanese, è un modello multivariato, basato su una pluralità di media a supporto, tradizionali e non, ed è rivolto sia agli “amici”, interni alla Ummah palestinese e non, sia verso i nemici, principalmente Israele e gli USA. Se a metà degli anni duemila, a farla da padrone è stato il mezzo televisivo tradizionale (Al Aqsa TV e Al Quds Radio), ad esso si è via via affiancato il mezzo YouTube ed i social network, in cui troll e meme hanno cominciato a lavorare per alterare le opinioni del pubblico dei Paesi occidentali e del mondo arabo, nonché le componenti della sinistra pacifista israeliana.

In tale modello le strategie di disseminazione sono tipicamente mixed media (utilizzo coordinato di più social media), oppure cross-media (ovvero incentrate su un canale preciso, ad esempio Al Aqsa TV, motore primario della strategia comunicativa e dei social come strumento di disseminazione delle informazioni prodotte dal canale primario). Come può Israele controbilanciare tali azioni? È evidente che l’attacco operato a più riprese contro Al Aqsa TV[35] o Al Quds Radio[36] rappresentano delle soluzioni non solo inutili, ma persino dannose. Il messaggio che immediatamente rimbalza è che Israele colpisce i civili e fa tacere i media per nasconderlo.

Inevitabilmente, in ragione di queste criticità, viene da chiedersi se Israele abbia un sistema di contropropaganda capace di reggere a queste nuove sfide, un sistema efficiente come quello militare. Ad esempio, sarebbe interessante indagare, ma questa inevitabilmente rappresenta una nuova domanda di ricerca, se Israele è in grado di infiltrarsi nelle chat di Hamas, invece di affannarsi in un inutile e dispendioso tentativo di smontare la misinformation e viralità con il debunking filologico.

D’altra parte, i manuali militari tradizionali hanno da decenni ammesso che alla guerriglia si risponde non tanto con metodi tradizionali, ma con la controguerriglia. Tale apprendimento vale anche per l’infosfera in cui contrapporre troll a troll non è evidentemente sufficiente, e dove occorre rispolverare vecchie e collaudate armi, come ad esempio la “guerriglia semiologica” teorizzata da Umberto Eco, che affermava che: “la battaglia per la sopravvivenza dell’uomo come essere responsabile nell’Era della Comunicazione non la si vince là dove la comunicazione parte, ma dove arriva” (Eco 1973).

 Il caso più evidente e critico per Israele è quello legato all’uso che fa Hamas degli scudi umani. Il governo israeliano non può solo limitarsi a negare i morti civili, parlare di errori contenuti o accusare Hamas di servirsi di tale pratica. Il lavoro va operato in maniera più organica, ovvero attraverso un’azione di comunicazione preventiva e cross-mediale, nonché provando ad infiltrare il modello comunicativo di Hamas per convincere gli abitanti di Gaza a non prestarsi a tale pratica. In una parola, conquistare l’egemonia.


[1] La Nuova Dottrina Militare Russa, approvata il 25 dicembre 2014 dal Presidente Vladimir Putin, in sostituzione della precedente risalente al febbraio 2010, è nei fatti figlia delle anticipazioni apparse in un articolo del Capo di Stato Maggiore della Difesa Valerij Vasil’evich Gerasimov dal titolo Cennost’ nauki predvidenii (Il valore della scienza della previsione), apparso sul Corriere Militare-Industriale a cura dell’Accademia delle Scienze Militari, il 23 febbraio del 2013.

[2] Si veda a tale proposito l’articolo di Mark Galeotti, The ‘Gerasimov Doctrine’ and Russian Non-Linear War, In Moscow’s Shadows, 6 July, https://inmoscowshadows.wordpress.com

[3] Operazione Protective Edge, iniziata l’8 luglio 2014 dalle Forze di Difesa Israeliane e terminata il 26 agosto successivo, con un accordo per una tregua sancito al Cairo. Intento dell’operazione era fermare il lancio di missili da Gaza verso Israele.

[4] Per una definizione del concetto di Lawfare nell’ambito delle guerre ibride, si veda a tale proposito il saggio di Michael Schmitt, Asymmetrical Warfare and International Humanitarian Law, in: International Humanitarian Law Facing New Challenges, eds. Heintschel von Heinegg and Wolff Epping (New York: Springer, 2007), pp.11-48.

[5] Assassinato dagli israeliani il 22 marzo 2004 a Sabra con un attacco missilistico mirato.

[6] Decisione (PESC) 2019/25 del Consiglio dell’8 gennaio 2019, in Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea che modifica e aggiorna l’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità a cui si applicano gli articoli 2, 3 e 4 della posizione comune 2001/931/PESC relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo, e che abroga la decisione (PESC) 2018/1084. Relativamente al caso in esame nella lista delle organizzazioni terroristiche si legge: «Hamas», incluso «Hamas-Izz al-Din al-Qassam».

[7] Si veda l’Home Office: proscribed terrorist organisations, aggiornato all’Aprile 2019, in cui è menzionata l’organizzazione “Hamas Izz al-Din al-Qassem Brigades” – Proscribed March 2001. Nella nota di accompagnamento si legge: “Hamas aims to end Israeli occupation in Palestine and establish an Islamic state”. Effettivamente la fattispecie appare regolamentata in maniera volutamente ambigua.

[8] Watzlawick, P., Beavin, J.H., Jackson, D.D. (1967), Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma, 1971.

[9] Si veda il 5° assioma della comunicazione. Le comunicazioni possono essere di tipo simmetrico, in cui i soggetti che comunicano sono sullo stesso piano (ad esempio due amici), e di tipo complementare, in cui i soggetti che comunicano non sono sullo stesso piano (ad esempio la mamma con il figlio).

[10] Si veda a tale proposito il filmato della durata di 2:30 secondi, diffuso da Al Aqsa TV nell’ottobre del 2016 e disponibile al link: https://www.facebook.com/cameraoncampus/videos/1241918155871774/

[11] Si veda a tale proposito l’articolo di Filippo Tansini, Analysing Strategic Communications through early modern theatre, in Academic journal Defence Strategic Communications, Vol 6, Spring 2019, disponibile al link: https://www.stratcomcoe.org/academic-journal-defence-strategic-communications-vol-6, pp. 49-86.

[12] Centro di eccellenza NATO, ospitato a Riga in Lituania, che ha come mission fornire un contributo tangibile alle capacità di comunicazione strategica della NATO, degli alleati e dei partner della dell’organizzazione.

[13] Atto finale della presidenza di Khaled Meshaal, il documento firmato a Doha in Qatar il 1 maggio del 2017 modifica la carta costitutiva del gruppo, risalente al 1988, accettando la creazione di uno stato palestinese entro i confini del 1967, quindi nei territori della Cisgiordania e della Striscia di Gaza. Il documento rappresenta una rottura anche per il linguaggio adottato nei confronti di Israele (è sparito il linguaggio antisemita che caratterizzava la carta del 1988), così come per la sparizione della storica affermazione di un Hamas ala dei Fratelli musulmani. Viene nei fatti affermata la natura “politica” e non “religiosa” dello scontro in atto con Israele.

[14] Si veda il saggio: Per una semiotica della comunicazione strategica, in E/C, rivista dell’Associazione Italiana di Studi Semiotici, 30 luglio 2004, disponibile al link: https://www.paolofabbri.it/comunicazione/.

[15] Ivi

[16] Ivi

[17] Concetto modellato dal semiologo russo Jurij Lotman su quello della biosfera. Indica il livello di contiguità e interconnessione che l’azione dell’uomo ha prodotto agendo sulla natura e sulla cultura, ovvero uno spazio ibrido fatto di significati.

[18] Concetto modellato all’inizio degli anni duemila da Luciano Floridi, filosofo dell’informazione. Per infosfera si intende la globalità dello spazio delle informazioni, un insieme che include sia sia il cyberspazio che i mass media classici. Si tratta a tutti gli effetti di un nuovo dominio, un dominio conteso che va ad aggiungersi ai tradizionali domini (terra, aria, mare e spazio), in cui, stati ed attori non statuali giocano un confronto utilizzando le informazioni come strumento di offesa e difesa.

[19] Per una corretta definizione del concetto di controllo della reazione o “reflexive control” è necessario risalire fino ai paradigmi deterministici del marxismo-leninismo secondo cui è possibile agire sui processi cognitivi umani agendo sulla conoscenza sensoriale attraverso la propaganda, l’inganno, la dissimulazione e la disinformazione, sintetizzando quindi, indurre il nemico a prendere decisioni a lui sfavorevoli [avendo naturalmente], un’idea del suo modo di pensare (definizione del colonnello S. Leonenkoin Refleksinoe upravlenie protivnikom). Per maggiori approfondimenti sul tema si veda il cap. 3, Parte Prima, del libro di Nicola Cristadoro, La dottrina Gerasimov e la filosofia della guerra non convenzionale nella strategia russa contemporanea, Libellula Edizioni, Settembre 2018, Roma, pp. 35-46.

[20] Per un approfondimento sul tema della “semiotica della viralità”, si veda Viralità. Per una epidemiologia del senso Lexia, in Lexia. Rivista di semiotica, 25–26, Journal of Semiotics, 25–26 Virality. For an epidemiology of meaning a cura di Gabriele Marino e Mattia Thibault.

[21] Si veda a tale proposito il saggio a cura di Walter Quattrociocchi e Antonella Vicini, Misinformation. Guida alla società della disinformazione e della credulità, Franco Angeli ed., 2016, p. 76

[22] Per “informante” Barthes intende quegli elementi volti a radicare l’invenzione nella realtà. Si veda il saggio di Roland Barhes, Mythologies, 1° Edizione Les Lettres nouvelles, Francia, 1957

[23] Centro di ricerca fondato nel 1998, attivo nella produzione di contenuti che esaminano i media e la vita nella regione araba e nella diaspora.

[24] Si veda l’analisi di Jinjin Zhang,  The Politics of Representation on Social Media: The Case of Hamas during the 2014 Israel–Gaza Conflict, pubblicata il 23 luglio 2017 e disponibile al link: https://www.arabmediasociety.com/the-politics-of-representation-on-social-media-the-case-of-hamas-during-the-2014-israel-gaza-conflict/

[25] Scontro avvenuto tra le Forze di Difesa Israeliane e le Brigate Izz ad-Din al-Qassam il 20 luglio 2014 durante il conflitto tra Israele e Gaza nel quartiere Al-Shuja’iyya di Gaza City, nella Striscia di Gaza e durato dal 19 al 23 luglio. Le fonti, come spesso accade difficili da verificare, riportano tra i 66 a i circa 120 palestinesi uccisi, di cui un terzo donne e bambini e almeno 288 feriti.

[26] Si veda l’articolo a firma Isabel Kershner and Fares Akram, Israeli Strike Destroys Apartment Tower in Gaza, disponibile sull’edizione online del NYT del 23 agosto 2014 disponibile al link: https://www.nytimes.com/2014/08/24/world/middleeast/israeli-strike-destroys-apartment-tower-in-gaza.html

[27] Pubblicazione disponibile al link: https://stratcomcoe.org/publications

[28] Conferenza stampa del 1 marzo 2008.

[29] Al-Aqsa TV, 20 novembre 2006.

[30] Al-Aqsa TV, 13 luglio 2014.

[31] Si veda il saggio di Massimo Campanini e Karim Mezran, I Fratelli Musulmani nl mondo contemporaneo, UTET, Torino, 2010, pp. 105-139.

[32] Ivi

[33] Ivi

[34] D. Salemi, Il moderno principe e la volontà collettiva. Per una lettura della questione palestinese in chiave gramsciana, in D. Bredi, l. Capezzone, W. Dahmash, L. Rostagno (a cura di), Scritti in onore di B. Maria Scarcia Amoretti, Università Roma La Sapienza, Q Edizioni, Roma, 2008, p. 1059.

[35] Colpita sia nel 2008 che nel luglio del 2014, durante il conflitto Israele-Gaza del 2014 da attacchi arerei israeliani che hanno interessato anche la radio. Nel 2014 la stazione televisiva ha continuato a trasmettere, mentre la stazione radio è divenuta silenziosa, per poi tornare in onda.

[36] Attualmente una potente antenna messa a disposizione da Hizb’Allah ri-trasmette dal Libano in territorio israeliano le trasmissioni di Radio Al Quds. Lo Shin Bet asserisce che le trasmissioni radio contengono messaggi cifrati indirizzati ai combattenti di Hamas infiltrati a Gerusalemme Est e nel West Bank.

Per scaricare il pdf: http://crstitaly.org/wp-content/uploads/2019/07/Lapparato-di-comunicazione-di-Hamas.pdf