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Razzante (CRST): “rischio boom criminalità economica dopo emergenza Coronavirus”

 Covid-19 e criminalità economica: due facce della stessa medaglia. La ragione? “E’ già in corso e si accentuerà nel ‘post corona virus’ l’infiltrazione di capitali di provenienza illecita nel tessuto economico, con conseguente boom delle attività di riciclaggio”….

L’intervista del Prof. Ranieri Razzante per l’Adnkronos riguardo la criminalità economica e il Coronavirus.

A seguire l’articolo completo..

2 Comments

  1. Fabio

    Con l’espandersi dell’epidemia da Covid-19, accompagnata giuridicamente da numerose misure restrittive, è evidente che la criminalità informatica si preparera a iniziare il suo ciclo vitale criminoso. Ci troviamo davanti a un aspetto di cosiddetta criminalità finanziaria, proprio così, dato che gli illeciti come traffico di stupefacenti, prostituzione ecc, dove si consuma il “reato sociale” cioè a contatto con le persone, ebbene che la criminalità “recupera” i suoi affari attraverso il web. Cerchiamo di capire brevemente l’aspetto criminologico-forense.
    Iniziamo col dire l’incessante sviluppo tecnologico legato all’informatica e alla rete internet ha generato il proliferarsi di nuove condotte penalmente rilevanti, che sono state oggetto di studio e di dibattito nella comunità scientifica penalistica. Da un lato gli strumenti informatici hanno consentito di porre in essere con modalità nuove e diverse fatti già costituenti reato; dall’altro essi hanno generato veri e propri fenomeni criminali che, ledendo beni giuridici meritevoli di tutela, hanno indotto il legislatore ad introdurre nuove e specifiche fattispecie penali incriminatrici. Non v’è dubbio che il progresso tecnologico abbia costituito una vera e propria rivoluzione nello sviluppo e nella circolazione delle informazioni e del sapere. Da qui la convinzione che soltanto un approccio completo quale quello di una scienza penalistica integrata (con profili criminologici, processualistici, tecnico-informatici) può fornire gli strumenti necessari per affrontare l’esteso campo della cyber-criminalità. Gli aspetti generali della criminalità informatica tendeno a individuare i rapporti intercorrenti tra il fenomeno di phishing ed il delitto di riciclaggio (art. 648-bis c.p.), anche alla luce dei più recenti sviluppi normativi e giurisprudenziali. Il legislatore della metà del secolo scorso, si è resa necessaria l’introduzione di nuove figure di reato (es. art. 615-ter: “Accesso abusivo a un sistema informatico o telematico”). Evidentemente, sino a qualche anno fa, era impensabile ed impossibile discutere di “introduzione in un sistema telematico protetto da misure di sicurezza”. L’introduzione di queste nuove norme trova fondamento nell’esigenza di tutela di nuovi beni giuridici ritenuti meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento penale quali, ad esempio, il domicilio informatico inteso come “spazio ideale (ma anche fisico in cui sono contenuti i dati informatici) di pertinenza della persona, ad esso estendendo la tutela della riservatezza della sfera individuale, quale bene anche costituzionalmente protetto”o l’intangibilità informatica. Da un punto di vista criminologico, il crimine informatico (cyber crime, computer crime) è stato definito come “ogni atto illecito per la cui realizzazione, scoperta o repressione siano necessarie conoscenze di tecnologia informatica” ovvero come “i comportamenti antigiuridici, o comunque socialmente dannosi, che vengono posti in essere utilizzando un computer”. Entrambi gli approcci, però, agli occhi del penalista, non risultano soddisfacenti.
    Nella prima definizione, infatti, si fa esclusivo riferimento all’informatica come strumento di repressione del crimine e non come mezzo di commissione dello stesso. Nella seconda, invece, il riferimento al danno sociale è troppo generico e probabilmente fuorviante. Merita attenzione il fenomeno di phishing e il delitto di reciclaggio. La posizione giuridica del financial manager è stata oggetto di pronunce di merito e di legittimità. Il dibattito giurisprudenziale verte sulla configurabilità o meno in capo allo stesso del delitto di riciclaggio. In particolare, si è dibattuto sulla compatibilità della fattispecie di cui all’art. 648 bis c.p. con il cd. dolo eventuale.
    Orbene, la giurisprudenza ha chiarito che il financial manager risponde a titolo di concorso nei medesimi delitti realizzati dal phisher (artt. 494, 615ter e 640 c.p.) solo se ha agito essendo consapevole della complessiva attività truffaldina posta in essere a danno dei correntisti. Se, invece, ne è all’oscuro, risponde di ricettazione (art. 648 c.p.) o di riciclaggio (art. 648 bis c.p.), a seconda che si sia limitato a ricevere le somme di denaro, essendo consapevole della loro provenienza illecita, ovvero le abbia anche trasferite all’estero con modalità idonee ad ostacolare l’identificazione di tale provenienza. Il dolo di ricettazione o riciclaggio può dirsi sussistente in capo al financial manager solo quando, sulla base di precisi elementi di fatto, si possa affermare che questi si sia seriamente rappresentato l’eventualità della provenienza delittuosa del denaro e, nondimeno, si sia comunque determinato a riceverlo e trasferirlo all’estero con le modalità indicate dal phisher. Questo orientamento è stato autorevolmente sancito con la sentenza n. 25960/2011, nella quale la Suprema Corte ha richiamato l’insegnamento delle Sezioni Unite in tema di compatibilità del dolo eventuale con il delitto di ricettazione (Cass. SS.UU., Sent. n. 12433 del 26/11/2009). Quest’ultima pronuncia ricopre un ruolo particolare nella rassegna giurisprudenziale degli ultimi anni, non soltanto per l’autorevolezza della sentenza che ha sopito un lungo contrasto giurisprudenziale, ma soprattutto perché presenta un triplice pregio: a) aver affermato che il dibattito sul discrimine tra dolo eventuale e colpa con previsione con riguarda soltanto i “delitti di sangue”; b) aver sancito che dolo eventuale e colpa cosciente possono riguardare non soltanto l’evento, bensì anche uno dei presupposti della condotta incriminatrice (nell’esempio tratto dalla sentenza, la provenienza delittuosa della cosa ricettata); c) ha distinto le situazioni soggettive di certezza, dubbio o mero sospetto in relazione al requisito della provenienza illecita della cosa o delle somme di denaro.
    In conclusione è possibile affermare che il dolo eventuale è compatibile sia con la fattispecie di ricettazione che con quella di riciclaggio. Esso è, tuttavia, da verificare di volta in volta, non essendo esso integrato né dal dubbio né dal mero sospetto. In quest’ultima ipotesi, nei casi di acquisto o di ricezione di cose sospette non si configurerà il delitto di ricettazione bensì la più lieve fattispecie contravvenzionale di “incauto acquisto” (art. 712 c.p.); nei casi in cui i beni o il denaro siano trasferiti con il mero sospetto della loro provenienza delittuosa, l’elemento soggettivo della condotta sarà “colpa con previsione” (art. 61, n. 3 c.p.) e l’autore, pertanto, ai sensi del combinato disposto degli artt. 42, commi 1 e 2, e 648 bis c.p. con formula “perché il fatto non costituisce reato”.

  2. Fabio

    Con l’espandersi dell’epidemia da Covid-19, accompagnata giuridicamente da numerose misure restrittive, è evidente che la criminalità informatica si prepara a iniziare il suo ciclo vitale criminoso. Ci troviamo davanti a un aspetto di cosiddetta criminalità finanziaria, proprio così, dato che gli illeciti come traffico di stupefacenti, prostituzione ecc, dove si consuma il “reato sociale” cioè a contatto con le persone, ebbene che la criminalità “recupera” i suoi affari attraverso il web. Cerchiamo di capire brevemente l’aspetto criminologico-forense.
    Iniziamo col dire l’incessante sviluppo tecnologico legato all’informatica e alla rete internet ha generato il proliferarsi di nuove condotte penalmente rilevanti, che sono state oggetto di studio e di dibattito nella comunità scientifica penalistica. Da un lato gli strumenti informatici hanno consentito di porre in essere con modalità nuove e diverse fatti già costituenti reato; dall’altro essi hanno generato veri e propri fenomeni criminali che, ledendo beni giuridici meritevoli di tutela, hanno indotto il legislatore ad introdurre nuove e specifiche fattispecie penali incriminatrici. Non v’è dubbio che il progresso tecnologico abbia costituito una vera e propria rivoluzione nello sviluppo e nella circolazione delle informazioni e del sapere. Da qui la convinzione che soltanto un approccio completo quale quello di una scienza penalistica integrata (con profili criminologici, processualistici, tecnico-informatici) può fornire gli strumenti necessari per affrontare l’esteso campo della cyber-criminalità. Gli aspetti generali della criminalità informatica tendeno a individuare i rapporti intercorrenti tra il fenomeno di phishing ed il delitto di riciclaggio (art. 648-bis c.p.), anche alla luce dei più recenti sviluppi normativi e giurisprudenziali. Il legislatore della metà del secolo scorso, si è resa necessaria l’introduzione di nuove figure di reato (es. art. 615-ter: “Accesso abusivo a un sistema informatico o telematico”). Evidentemente, sino a qualche anno fa, era impensabile ed impossibile discutere di “introduzione in un sistema telematico protetto da misure di sicurezza”. L’introduzione di queste nuove norme trova fondamento nell’esigenza di tutela di nuovi beni giuridici ritenuti meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento penale quali, ad esempio, il domicilio informatico inteso come “spazio ideale (ma anche fisico in cui sono contenuti i dati informatici) di pertinenza della persona, ad esso estendendo la tutela della riservatezza della sfera individuale, quale bene anche costituzionalmente protetto”o l’intangibilità informatica. Da un punto di vista criminologico, il crimine informatico (cyber crime, computer crime) è stato definito come “ogni atto illecito per la cui realizzazione, scoperta o repressione siano necessarie conoscenze di tecnologia informatica” ovvero come “i comportamenti antigiuridici, o comunque socialmente dannosi, che vengono posti in essere utilizzando un computer”. Entrambi gli approcci, però, agli occhi del penalista, non risultano soddisfacenti.
    Nella prima definizione, infatti, si fa esclusivo riferimento all’informatica come strumento di repressione del crimine e non come mezzo di commissione dello stesso. Nella seconda, invece, il riferimento al danno sociale è troppo generico e probabilmente fuorviante. Merita attenzione il fenomeno di phishing e il delitto di reciclaggio. La posizione giuridica del financial manager è stata oggetto di pronunce di merito e di legittimità. Il dibattito giurisprudenziale verte sulla configurabilità o meno in capo allo stesso del delitto di riciclaggio. In particolare, si è dibattuto sulla compatibilità della fattispecie di cui all’art. 648 bis c.p. con il cd. dolo eventuale.
    Orbene, la giurisprudenza ha chiarito che il financial manager risponde a titolo di concorso nei medesimi delitti realizzati dal phisher (artt. 494, 615ter e 640 c.p.) solo se ha agito essendo consapevole della complessiva attività truffaldina posta in essere a danno dei correntisti. Se, invece, ne è all’oscuro, risponde di ricettazione (art. 648 c.p.) o di riciclaggio (art. 648 bis c.p.), a seconda che si sia limitato a ricevere le somme di denaro, essendo consapevole della loro provenienza illecita, ovvero le abbia anche trasferite all’estero con modalità idonee ad ostacolare l’identificazione di tale provenienza. Il dolo di ricettazione o riciclaggio può dirsi sussistente in capo al financial manager solo quando, sulla base di precisi elementi di fatto, si possa affermare che questi si sia seriamente rappresentato l’eventualità della provenienza delittuosa del denaro e, nondimeno, si sia comunque determinato a riceverlo e trasferirlo all’estero con le modalità indicate dal phisher. Questo orientamento è stato autorevolmente sancito con la sentenza n. 25960/2011, nella quale la Suprema Corte ha richiamato l’insegnamento delle Sezioni Unite in tema di compatibilità del dolo eventuale con il delitto di ricettazione (Cass. SS.UU., Sent. n. 12433 del 26/11/2009). Quest’ultima pronuncia ricopre un ruolo particolare nella rassegna giurisprudenziale degli ultimi anni, non soltanto per l’autorevolezza della sentenza che ha sopito un lungo contrasto giurisprudenziale, ma soprattutto perché presenta un triplice pregio: a) aver affermato che il dibattito sul discrimine tra dolo eventuale e colpa con previsione con riguarda soltanto i “delitti di sangue”; b) aver sancito che dolo eventuale e colpa cosciente possono riguardare non soltanto l’evento, bensì anche uno dei presupposti della condotta incriminatrice (nell’esempio tratto dalla sentenza, la provenienza delittuosa della cosa ricettata); c) ha distinto le situazioni soggettive di certezza, dubbio o mero sospetto in relazione al requisito della provenienza illecita della cosa o delle somme di denaro.
    In conclusione è possibile affermare che il dolo eventuale è compatibile sia con la fattispecie di ricettazione che con quella di riciclaggio. Esso è, tuttavia, da verificare di volta in volta, non essendo esso integrato né dal dubbio né dal mero sospetto. In quest’ultima ipotesi, nei casi di acquisto o di ricezione di cose sospette non si configurerà il delitto di ricettazione bensì la più lieve fattispecie contravvenzionale di “incauto acquisto” (art. 712 c.p.); nei casi in cui i beni o il denaro siano trasferiti con il mero sospetto della loro provenienza delittuosa, l’elemento soggettivo della condotta sarà “colpa con previsione” (art. 61, n. 3 c.p.) e l’autore, pertanto, ai sensi del combinato disposto degli artt. 42, commi 1 e 2, e 648 bis c.p. con formula “perché il fatto non costituisce reato”.

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