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13/02/2018

 

NORMATIVA ANTIRICICLAGGIO E DISPLACEMENT

di Martina Cont

 

A fenomeno transnazionale, risposta transnazionale.

Il consenso unanime riguardo la necessità di un’azione internazionale contro il fenomeno del riciclaggio di denaro è sempre stato elevato. Ciò in ragione del fatto che ogni diversità di disciplina si potrebbe rivelare un’opportunità criminogena, un contributo al difetto di un congruo contrasto.[1]

Come suggerisce la c.d. Terza Direttiva antiriciclaggio: “Il riciclaggio dei proventi di attività criminose e il finanziamento del terrorismo avvengono sovente a livello internazionale. Misure adottate esclusivamente a livello nazionale o anche comunitario, senza coordinamento, né cooperazione internazionale, avrebbero effetti molto limitati.”[2]

In altre parole, così come la criminalità organizzata si è adattata alla nuova realtà economico-giuridica post Schengen, lo stesso dovrebbero fare le autorità giudiziarie e le forze di polizia.[3]

 

Tuttavia, per essere davvero incisivo, il progetto d’armonizzazione dovrebbe coinvolgere il globo intero: così efficace, quanto irrealizzabile.

Malgrado possa sembrare una riflessione arrendevole, sarebbe miope – a mio avviso – non riconoscere quanto la vivacità delle organizzazioni criminali riesca senza troppa fatica a vanificare gli interventi del legislatore, talvolta poco convinti in partenza o mossi da istanze non prettamente penali o amministrative, e come il continuo deficit di informazioni a svantaggio degli stati comporti un fisiologico deficit di efficacia anche nelle normative più all’avanguardia.

L’auspicata codificazione unitaria a livello europeo sarebbe innegabilmente un buon risultato, valido strumento processuale per garantire un’equità di trattamento, ma, almeno teoricamente, incapace di risolvere alla radice la problematica.

Inoltre, pare opportuno evidenziare un’altra questione, strettamente connessa alle caratteristiche dei criminali organizzati, della criminalità economica in particolare.

In base alla teoria criminologica della scelta razionale[4], il soggetto agisce secondo una ragione limitata. Compie, in sostanza, una valutazione delle opportunità offerte dal contesto e dal target e, in base ad esse, sceglie razionalmente di passare dalla potenza all’atto e di realizzare il suo proposito criminale.

Si potrebbe ragionevolmente ipotizzare che, in presenza di un sistema antiriciclaggio armonizzato a livello europeo, i riciclatori potrebbero facilmente ricercare opportunità più vantaggiose altrove, sfruttando le legislazioni meno stringenti e più lassive di altri paesi.

Vige il modello matematico della domanda e dell’offerta: è la legge stessa, produttrice di occasioni criminali, ad alimentare lo shopping giuridico da parte dei delinquenti più intraprendenti.

I gruppi criminali, d’altronde, hanno una spiccata tendenza alla ristrutturazione in risposta allo sviluppo tecnologico, dei mercati e delle normative; in particolar modo in riferimento a quegli illeciti, come il reato di riciclaggio, la cui realizzazione è strettamente legata all’intelligenza delle persone.

Tale effetto traslativo in risposta a un intervento legislativo, c.d. displacement del crimine, non è anteriormente quantificabile, poiché non automatico, non totale e non necessario, e, forse proprio per questo, dovrebbe essere tenuto in considerazione.[5]

 

L’azzardata previsione potrebbe acquisire più credibilità se si considerassero alcune dinamiche sviluppatesi in passato.

L’irrigidimento della repressione del fenomeno del riciclaggio di denaro a livello nazionale, ad esempio, ha dirottato l’interesse dei criminali verso le agevolazioni fiscali e l’offuscata trasparenza dei c.d. paradisi fiscali.

Post 2001, in seguito al monitoraggio e alle pesanti limitazioni imposti dal Patriot Act statunitense, e all’aumento del doppio del costo delle operazioni di riciclaggio in America[6], le movimentazioni del denaro illecito sono concentrate in ambito europeo.[7]

Ancora, in tempi più recenti, forse in risposta al rafforzamento dell’assetto unitario europeo e all’aumento degli Accordi internazionali in materia antiriciclaggio, si è sviluppata una tendenza nei confronti dei mercati asiatici. Realtà finanziarie fino ad oggi escluse, quali Cina[8], Russia e paesi del terzo mondo, prive di normative e controlli stringenti in materia antiriciclaggio, vengono rivalutate. Esistono territori in cui la licenza verso alcuni crimini viene utilizzata quale “caratteristica normativa differenziale per attrarre capitali, specie altrui e stranieri.”[9]

In questi casi, i sistemi investigativi sono molto limitati nella loro efficacia, data la scarsa collaborazione e il ridotto scambio di informazioni tra tali realtà e i paesi dotati di un sistema AML.

In più, va considerato il ruolo ambivalente della tecnologia nel contesto finanziario: virtualizzazione dei beni e velocizzazione delle transazioni rendono ardua la caccia al bene nei vari passaggi attraverso cui viene ripulito e diviene praticamente impossibile anticiparne il percorso.

 

Al fine di ridimensionare la portata effettiva del displacement, sono doverose alcune precisazioni.

In base agli assunti della scelta razionale, si badi, il displacement non va considerato come inevitabile, ma, anzi, come condizionato dal giudizio del criminale circa le alternative di reato.

I delinquenti sono più favorevoli a spostare la propria attività criminale quando altri obiettivi criminali condividono le stesse “proprietà di strutturazione della scelta” rispetto alla struttura delle opportunità del crimine originale.[10] Qualora, invece, dovessero essere troppo diversificate e impegnative, il soggetto potrebbe accontentarsi di ricompense criminali più modeste o di un più basso tasso di crimine.

“Pochi criminali sono guidati perciò dalla necessità o dal desiderio di mantenere uno specifico livello di criminalità a qualsiasi costo. L’eliminazione di facili opportunità di criminalità può realmente incoraggiare molti criminali ad esplorare alternative non criminali.”[11]

In diverse circostanze i risultati effettivi degli sforzi legislativi di prevenzione sono stati l’opposto del displacement: l’effetto “drip-fedd”, di displacement “benigno”, in cui i benefici derivanti dal controllo del crimine si sono rivelati maggiori del previsto e hanno interessato aree più ampie rispetto quelle oggetto dell’intervento. Sintentizzando, si tratta di diffusione per deterrenza, connessa ad una valutazione del rischio, e diffusione per scoraggiamento, frutto di una ponderazione tra sforzo e ricompensa.

La pretesa inevitabilità del displacement è stata, comunque, molto sovrastimata, anche in considerazione delle difficoltà di misurazione del fenomeno.

Un’accettazione acritica del displacement potrebbe portare all’erronea attribuzione di aumenti dei reati, che in ogni caso si sarebbero verificati, al displacement.

Ad ogni modo – tornando alla situazione più attuale – l’aumento dell’appetibilità dei mercati asiatici, sia o meno legata a un effettivo displacement, è una realtà in grado di incidere pesantemente i risultati rincorsi nel progetto di armonizzazione.

In una prospettiva di razionalizzazione, in tal senso, l’applicazione del principio della vigilanza basato sul rischio potrebbe essere una discreta soluzione.[12]

Elaborato all’interno del contesto dell’obbligo di segnalazione, ma plausibilmente estensibile, risponde alla logica secondo cui in determinati casi si possono applicare procedure semplificate, mentre in situazioni particolarmente rischiose sono, invece, opportune procedure “particolarmente rigorose”

Il modello, in sostanza, permette di valorizzare la rilevanza e la funzione delle liste OCSE, la suddivisione dei paesi in white, e black, list in base al principio di equivalenza, o meno, al regime antiriciclaggio internazionale.

Da un lato, quindi, maggior attenzione e controlli nei confronti dei paesi c.d. black, in forza di una sorta di presunzione relativa di sospetto; dall’altro, misure economico-strategiche finalizzate a limitare lo spazio di manovra di tali paesi.

Idealmente uscendo dalla sovranità dell’utile e del guadagno, se si selezionassero i partner commerciali in base ad un criterio di trasparenza, prevedendo restrizioni e procedure rigide nei confronti di quei paesi non in linea con la normative internazionale antiriciclaggio, quasi fossero sotto embargo, la qualità dei risultati potrebbe migliorare.

Facile a dirsi, più che a farsi, anche in considerazione del ruolo, cui sopra accennato, della tecnologia. Spesso il denaro semplicemente transita per i canali finanziari di tali realtà economiche, senza essere investito in beni materiali più facilmente tracciabili e aggredibili e, a tal proposito, servirebbero programmi informatici in grado di bloccare determinate tipologie di transazione da e per paesi catalogati come black.

Rendere, insomma, meno conveniente la scelta di smobilizzare la ricchezza in tali paesi. Se è vero che il crimine è il risultato di una scelta razionale, d’altronde, ridurre la potenzialità di un’opportunità dovrebbe logicamente ridurne l’appetibilità.

Elidere i vantaggi connessi alla scelta illecita adottando la tecnica criminologica del c.d. deny beneficts, inoltre, assolverebbe al contempo una funzione di deterrenza generale, scoraggiando analoghi comportamenti da parte di terzi paesi, incentivando, anzi, all’adeguamento agli standard internazionali antiriciclaggio.

Se così fosse, i fattori fondamentali nella scelta degli investimenti o delle dislocazioni delle ricchezze cambierebbero e la trasparenza potrebbe forse divenire un obiettivo utile, piuttosto che un aggravio normativo ed economico non sempre controbilanciato da effettivi guadagni.

Collaborare tra rappresentanti della legalità, tra simili, escludendo, quando e se possibile, dai giochi ordinamenti governati da principi diametralmente opposti. “In un contesto economico globale in cui si rafforzano le sinergie tra le organizzazioni criminali la sola speranza di riscatto è un più forte e credibile incremeno delle sinergie tra i soggetti della legalità.”[13]

In conclusione, fermo restanto l’indiscusso valore, la funziona propositiva, nonché propulsiva, della collaborazione tra autorità, sembra opportuno concentrarsi anche sugli strumenti di soft law.[14]

I meeting internazionali, per esempio, potrebbero costituire le fondamenta su cui poter costruire l’impalcatura della codificazione comune[15] e, dall’altro, essere qualla spinta che, dal basso, implementa i sistemi giuridici nazionali, incentivando l’elaborazione delle buone prassi e l’apprendimento reciproco, in un continuo confronto. Potrebbero risultare notevolemente incisivi, perché più ricettivi delle istanze, delle problematiche e delle peculiarità nazionali, ma, soprattutto, più flessibili, non richiedendo procedure particolarmente complesse.

Imboccare, insomma, la strada della politica “dei piccoli passi”: continui confronti, continui interventi, continui riscontri e necessari adeguamenti, per poi proseguire.

 

 

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA:

 

[1] Ci si riferisce al difficoltà investigative e giudiziarie, come, a monte, a difficoltà nell’incriminazione delle condotte stesse. Mancano dei parametri univoci attraverso cui valutare il comportamento umano: l’usura, ad esempio, non si configura come illecito in Inghilterra e Spagna. Colui che, arricchitosi in Spagna grazie all’attività usuraia, impiegasse i suoi profitti in Italia dovrebbe, secondo l’ordinamento italiano, essere perseguito per riciclaggio. Problematico sarebbe, tuttavia, incriminarlo, in considerazione del principio della doppia incriminabilità del fatto.

A tal proposito, da anni ormai si discute sulla possibile redazione di un codice penale europeo unico.

Per approfondire la questione vedasi: S. Faiella, Riciclaggio e crimine organizzato transnazionale, Giuffré, Milano, pp. 92-100

[2] Direttiva 2005/60/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento al terrorismo, 26 ottobre 2005, considerazioni iniziali, punto (5), p. 3

[3] Affermazione volutamente polemica, ma in chiave propositiva, di Troels Oerting, ex vice direttore di Europol, riportata in S. Alfano e A. Varrica (a cura di), Per un contrasto europeo al crimine organizzato e alle mafie. La risoluzione del Parlamento Europeo e l’impegno dell’Unione europea, Franco Angeli, Milano, 2012, p. 19

[4] Per approfondire vedasi: R. V. Clarke, Situational Crime Prevention: Successful Case Studies, 2nd Edition, NY, 1997; R. V. Clarke, Situational crime prevention in Building a Safer Society: Strategic Approaches to Crime Prevention, Chicago, 1995; R. V. Clarke e M. Felson, Routine Activity and Rational Choice, Advances in Criminological Theory, Vol 5, NJ, 1993; R. V. Clarke e J. Eck, Becoming a Problem-Solving Crime Analyst, Londra, 2003; D. Cornish e R. V. Clarke, Introduction in The Reasoning Criminal, New York, 1986, pp. 1-16

[5] Teorizzato in riferimento alla criminalità appropriativa, urbana, alla microcriminalità e, in generale, agli interventi di prevenzione situazionale, potrebbe ragionevolmente essere applicato anche alle casistiche di criminalità economica, al riciclaggio, in quanto legato a caratteristiche intrinseche della natura umana.

[6] P. Grasso, Soldi sporchi. Come le mafie riciclano miliardi e inquinano l’economia mondiale, Milano, Delai, 2011, p. 24

[7] L. Napoleoni, Economia canaglia. Il lato oscuro del nuovo ordine mondiale, Il saggiatore, 2009, p. 70

[8] Secondo l’organizzazione no-profit Global Financial Integrity, anche in considerazione della protata internazionale ormai assunta dal fenomeno del riciclaggio in Cina, la Repubblica popolare cinese è diventata il primo esportatore al mondo di denaro illecito, grazie a un sistema complesso fatto di transazioni false, export e import gonfiati, banche illegali e passaggi di contanti e delle autorità a condividere informazioni e prove con gli inquirenti internazionali, Cina, crocevia per il riciclaggio. Ecco come narcos e trafficanti di uomini riescono a “ripulire” i soldi sporchi, www.ilfattoquotidiano.it

[9] Riciclaggio: riforme di vizio, §2 Il riciclaggio quale tipico delitto dello Stato moderno, www.questionegiustizia.it, p. 5

[10] A.A. Braga, Problem-Oriented Policing and Crime Prevention, Criminal Justice Press, Monsey, New York, U.S.A., 2002, p. 28

[11] R.V. Clarke, Situational Crime Prevention: Successful Case Studies, 2nd Edition, Albany, NY, 1997, p. 28

[12] Direttiva 2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio cit., punti (18), (22) e (23), pp. 5-6

[13] S. Grillo, Il fenomeno globale dell’economia criminale e le sfide della legalità, Fondazione Culturale Responsabilità Etica, novembre 2014, p. 18

[14] Andrea R. Castaldo e Marco Naddeo, Il denaro sporco. Prevenzione e repressione nella lotta al riciclaggio, Cedam, Padova, 2010, p. 379

Del medesimo avviso anche il Parlamento europeo, che, nella Risoluzione del Parlamento europeo del 25 ottobre 2011 sulla criminalità organizzata nell’Unione europea 2010/2309 (INI), www.europarl.europa.eu, al punto 3, incoraggia gli Stati membri a un rafforzamento delle autorità giudiziarie e delle forze dell’ordine anche confrontando le normative e i mezzi predisposti da ciascuno, invitando, a tal fine, il comitato permanente per la cooperazione operativa in materia di sicurezza interna (COSI) a organizzare una riunione annuale in cui partecipino almeno Stati membri, Commissione, Consiglio, Parlamento europeo, Europol ed Eurojust, utile anche per le proposte e la programmazione di piani futuri in materia di lotta alla criminalità organizzata.

[15] In particolar modo se si tiene conto dell’autorevolezza tecnica e politica delle fonti e dell’elevata qualità tecnica delle raccomandazioni.

 

 

per scaricare il pdf: Riciclaggio e displacement