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marzo 5, 2017
Terrorismo di ieri e di oggi: da Al Qaeda all’ISIS
Sono trascorsi 13 anni da quando la peggior minaccia terroristica alla quale giornali, istituzioni internazionali e società civile facevano riferimento nelle loro considerazioni sui pericoli che affliggevano la comunità internazionale era quella di Al- Qaeda, il cui leader Bin Laden minacciava di voler distruggere l’Occidente ed estendere la sharia, la legge islamica. Oggi il mondo si trova a fronteggiare una organizzazione terroristica che sembra essere ancora più pericolosa, l’ISIS, il quale ad un primo sguardo potrebbe apparire come un’evoluzione della precedente, da cui sembra aver preso origine ed ispirazione ideologica, ma che a ben guardare presenta invece numerosi aspetti divergenti che portano i due gruppi a passare dall’iniziale collaborazione a quella che sembra essere una sfida per il controllo dei territori africani e mediorientali. La nascita di al Qaeda – “la base” – si può datare al 1988, quando un gruppo di jihadisti sunniti con a capo Osama bin Laden, reduci dalla lotta contro l’occupazione sovietica dell’Afghanistan, si mobilitò in vista dell’obiettivo finale di eliminare l’influenza occidentale nel mondo islamico e unire l’Umma sotto un Califfo, autorità sia politica che religiosa. Si trattava di un’organizzazione centralizzata appoggiata di fatto dal regime talebano di Kabul le cui capacità operative furono in gran parte distrutte dagli attacchi americani che fecero seguito gli attentati terroristici dell’11 Settembre 2011, in seguito l’influenza di al Qaeda rimase più simbolica ed ideologica mentre varie organizzazioni terroristiche regionali e tribali ne prendevano il posto. 1 Tra queste l’ISIS è certamente una delle più note e più pericolose. Nata durante la Seconda guerra del Golfo voluta dall’amministrazione Bush per liberare l’Iraq da Saddam Hussein, che si può dire quindi abbia contribuito ad innescare uno scisma nella rete del terrorismo globale, nel 2006 la formazione qaedista presente in Iraq si trasformò prendendo il nome di Stato islamico dell’Iraq (ISI) sotto la guida di Abu Musab al-Zarqawi. Se all’inizio gli scopi delle due organizzazioni erano gli stessi, con lo scoppio della guerra civile siriana, a seguito della quale cambiò nome in ISIS (Stato Islamico dell’Iraq e della Siria), e con la morte di Osama Bin Laden il 2 Maggio del 2001, si distaccarono definitivamente, e quest’ultimo adottò una nuova strategia operativa: gli obiettivi non erano più solo le istituzioni occidentali, ma anche gli altri musulmani, soprattutto sciiti. 2 Quella del “takfirismo” è
un’ideologia che si basa sulla pretesa di un musulmano sunnita di bollare come takfīrī, miscredente, coloro che non seguono la sharia in modo ortodosso ed è un tema molto sentito ancora oggi dai sostenitori dei due gruppi, che porta a divergenti strategie. Un territorio dove questo scarto è evidente è quello iracheno, conteso tra forze governative nazionali, ribelli ed organizzazioni terroristiche: mentre l’ISIS ha proclamato la nascita del Califfato ed è entrato in guerra praticamente con tutte le fazioni in campo (curdi, regime, ribelli), al contrario il Fronte che rappresenta al Qaeda, al- Nusra, ha cercato di stringere rapporti e alleanze con i ribelli locali in quanto il suo fine di sconfiggere il presidente siriano Bashar al Assad e creare uno stato basato sulla legge islamica sono obiettivi con cui la gran parte dei ribelli può convivere, anche senza condividerli. 3 Quella citata in precedenza è solo la prima delle differenze che si possono riscontrare ad un’analisi più attenta ed approfondita delle due organizzazioni terroristiche. Per quanto riguarda il numero delle vittime, i dati rilevati dall’Università di Chicago mostrano numeri non eccessivamente distanti (7.191 al- Qaeda, 5.582 l’ISIS), tuttavia è importante sottolineare l’arco temporale a cui questi si riferiscono: 34 anni di attività nel primo caso e solo 15 nel secondo, segno di una violenza e di una capacità distruttiva superiori. 4 Altro elemento di distinzione tra le due formazioni terroristiche è dato dal numero dei loro adepti (27 mila con l’ISIS, 4 mila con al- Qaeda secondo i dati rilevati dall’Università di Chicago). Se per eseguire attentati in Medio Oriente e in Occidente contro il “nemico esterno” non era necessario un grande numero di militanti, al contrario per portare avanti il progetto di un Califfato islamico l’ISIS ha costruito un’imponente macchina di propaganda che ha richiamato a sé migliaia di combattenti, provenienti sia dall’estero sia dalle ex milizie locali, e a tal fine si è dotato di un sistema molto più efficace dell’organizzazione terroristica ad esso precedente. L’obiettivo è quello della conquista e del controllo sul territorio di cui Al-Baghadi, dopo le vittorie conseguite in Iraq e in Siria, si autoproclamò “califfo” assumendo il nome di Ibrahim. La propaganda dell’ISIS, secondo lo studio di Arturo Varvelli, ricercatore dell’Istituto per gli studi di Politica Internazionale (Ispi) che, in una conferenza alla Commissione esteri del Parlamento europeo ha presentato lo studio “Ramificazioni dello ‘stato islamico’ nei paesi del Maghreb e del Mashreq” ha una doppia funzione:
una interna, con cui mira a soggiogare la propria popolazione; ed una esterna, il cui obiettivo è terrorizzare i nemici, il che fa si che spesso la potenza manifestata attraverso questi mezzi sia superiore a quella effettiva. 5 Sono stati molti gli studi condotti al fine di scoprire e debellare le fonti di finanziamento delle organizzazioni terroristiche arrivando a rintracciare un inizio degli introiti dovuto al contributo, spesso indiretto e inconsapevole, da parte delle monarchie del Golfo, le quali sostenevano gli oppositori di Bashar al-Assad e quindi anche l’ISIS. Negli anni seguenti il controllo dei pozzi petroliferi e dell’accesso all’acqua, bene scarso e prezioso in queste aree, ha garantito all’organizzazione guadagni certi e significativi; essa è stata poi in grado di impadronirsi dei fondi della banca centrale di Mosul, oltre che di reperire fondi da sostenitori residenti in Stati terzi e applica tasse sulla popolazione che controlla. Diversi rapporti delle intelligence occidentali hanno stimato in circa 1,5 miliardi di dollari il patrimonio del Califfato, anche se i recenti bombardamenti della Russia e della Coalizione internazionale ne hanno sicuramente ridotto il volume. Al- Qaeda sembra abbia a disposizione un patrimonio maggiore che cresce a ritmi elevati anche grazie alla guerra in Yemen, recuperando la stabilità che si riteneva avesse perso: la cellula nella Penisola arabica controlla diversi centri abitati, riuscendo a riscuotere circa 2 milioni di dollari al giorno, sia attraverso le tasse sia tramite la gestione dei pozzi petroliferi. 6 Al- Qaeda e ISIS a ben vedere sono dunque sempre più temibili, ma anche distanti ed in conflitto tra loro su numerosi aspetti e l’Africa è un terreno privilegiato per la sfida tra le due organizzazioni terroristiche, dove in molte regioni il modello di network qaedista funziona meglio di quello statale dell’ISIS, non solo perché il primo ha stretto relazioni di collaborazione solide per anni con le diverse sue reti tribali ed etniche sulla base del medesimo modello socio-culturale, ma anche perché i combattenti di cui si serve sono persone appartenenti ai territori in cui si consuma il conflitto e ad essi profondamente legati. In questi luoghi il rischio da cui è necessario prendere precauzioni è l’espansione verso i territori limitrofi, come in Giordania, dove la prossimità geografica e l’espansione dei gruppi radicali nei campi profughi rischiano di alimentare l’estremismo e di generare una destabilizzazione; il pericolo è poi ancora il maggiore nei Paesi che versano in stato di povertà e dove quindi la popolazione è più sensibile alla propaganda fondamentalista o in quelli che attraversano fasi di instabilità politico- sociale. Un intervento esterno per combattere l’autoproclamato Stato Islamico appare essere necessario, ma bisogna tener conto del rischio che ciò potrebbe indurre le varie fazioni jihadiste a unirsi nella lotta al nemico comune. Fino ad oggi la comunità internazionale, nonostante i numerosi meeting e le promesse di una maggiore cooperazione, si è dimostrata poco compatta nell’intraprendere reali azioni di contrasto, mentre sono state adottate soltanto singole iniziative da parte degli Stati membri, per lo più condizionate dai rapporti economici con i Paesi in questione. Nella maggioranza dei casi esse si sono dimostrate inefficaci o, nelle migliori delle ipotesi, in grado di risolvere solo temporaneamente conflitti circoscritti a un’area limitata, a dimostrazione del fatto che soltanto delle politiche comuni potranno portare ad un concreto e duraturo processo di peace building.