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settembre 29, 2017

TERRORISMO INTERNAZIONALE. I PRINCIPI SU CUI SI BASA L’IMPIANTO NORMATIVO PENALISTICO ITALIANO PER DISCIPLINARE LE ATTIVITÀ DI CONTROLLO E REPRESSIONE DEI FLUSSI ECONOMICO-FINANZIARI CREATI E GESTITI DALLE ORGANIZZAZIONI TERRORISTICHE INTERNAZIONALI.

di Enrico Colarossi

 

Al fine di analizzare correttamente l’argomento in oggetto appare necessario dare, preliminarmente, una definizione di detto fenomeno mettendone alla luce i molteplici elementi e fattori che lo costituiscono. Si fa riferimento fondamentalmente a principi che dalla nascita del fenomeno terrorismo, ha visto impegnati studiosi del settore, quali politologi, economisti, psicologi, strateghi militari. Un lavoro condotto sino ai giorni nostri, ma che non ha reso possibile in modo soddisfacente, fornire una spiegazione al grande fascino e attrazione che il “fenomeno terroristico” ha sempre suscitato nell’uomo. A seconda dei periodi storici e delle classi sociali, in cui il fenomeno terrorismo si sia manifestato, ha prodotto reazioni non sempre simili da parte dello “spettatore”. Non va dimenticato che una azione terroristica vede scendere in campo ben tre soggetti; l’attore principale, ovvero, colui che compie qualsiasi azione di finalizzata all’attacco del potere costituito, dall’altra, la vittima. E la terza parte, la comunità o parte di essa, che rimane spettatrice del fenomeno terroristico, colpita non in modo diretto e fisico ma allo stesso tempo colpito da esso.

Il Terrorismo ed i terroristi, quindi, in determinati periodi storici non sempre venivano additati in modo negativi stico dalla popolazione, considerati invece come dei veri e propri “rivoluzionari”, come “combattenti” insoddisfatti dei Governi al potere. Il “terrore” veniva utilizzato come strumento idoneo a dare una risposta alle ingiustizie vissute dalla popolazione, ma non va dimenticato che molti Governi si sono formati facendo proprio uso di queste tecniche.  I terroristi, in passato come oggi, non combattono una guerra “tradizionalmente” concepita, con la necessaria presenza di eserciti e campi di battaglia dove confrontarsi.

Nulla di tutto ciò. Varie Nazioni in tutto il mondo si sono trovate ad affrontare un nemico sempre minaccioso di sovvertire gli ordini democratici, in grado di sfruttare a loro favore gli storici principi che danno vita alla teoria della “contrapposizione asimmetrica”.

Il terrorismo ha origini antiche, dove le prime forme di questa violenza si sono manifestate grazie all’attività di movimenti religiosi di protesta che hanno preso sempre più spesso connotazioni di rivolte politiche.

Basti pensare che una delle prime aggregazioni terroristi che, come oggi le definiremmo, sono i Sicari. Setta religiosa costituita da adepti provenienti dalle classi più povere, la cui organizzazione si dedica ad una vera e propria contrapposizione attiva ai regni della Palestina negli anni 66-73 dopo Cristo. Le tattiche utilizzate dai sicari si concretizzavano in violente aggressioni contro i loro avversari, soprattutto durante le ore diurne e quasi sempre nei giorni festivi, potendo in questo modo colpire più persone possibili. Il nome di questa famigerata setta deriva dall’arma utilizzata, ovvero la sica, una spada corta, facilmente occultabile dall’abbigliamento utilizzato all’epoca. Drammatiche furono le gesta dei sicari, dall’uccisione di personalità politiche di rilievo, sino all’attacco dei palazzi del potere, infondendo nella popolazione sentimenti di pura e sottomissione. I Sicari seguivano un vero e proprio programma politico-religioso, una dottrina che sosteneva con forza e quindi con estremismo, il principio secondo il quale soltanto Dio era considerato il Signore, ma al contempo veniva rifiutata l’intermediazione del clero. Da molti studiosi considerato una sorta di protestantesimo ebraico. La setta dei Sicari era spinta da questo forte credo, che spingeva gli stessi anche al martirio, considerato un gesto in grado di donare gioia, con l’unico scopo di liberare Gerusalemme, da un regime corrotto, l’Impero Romano.

Altra organizzazione che ha fatto largo uso di tecniche, o tattiche terroristiche è la nota setta politica-religiosa di fanatici musulmani degli Assassini. Setta fondata nel 1090 in Persia da Hassan bin Sabbah, che riuscì a diffondere la propria ideologia e quindi l’operatività della propria organizzazione sino in Siria ed Egitto. Erroneamente, il nome di questa setta, viene associato al termine “Haschaschin”, ovvero, coloro che fumano Haschisc, droga all’epoca largamente diffusa e usata. Organizzazione questa, che presentava una struttura rigida e segreta, operante nella piena clandestinità. Atti ed operazioni terroristiche realizzate con modalità tanto sacramentali quanto efficaci, che conduceva in determinate occasioni al martirio dell’adepto.

E’ facile dedurre come ideologie, programmi operativi, o elementi costitutivi di queste organizzazioni siano facilmente riscontrabili nelle aggregazioni terroristiche cosiddette islamiche che attualmente rappresentano la maggior minaccia in ambito internazionale.

Ma di terrorismo, in modo organico, se ne comincia a parlare solo nel 1798, quando il Dictionnaire della Acadèmie Francais associava al termine terrorismo, appunto, il significato di “regime del terrore”. A detto termine dapprima veniva dato un significato positivo, come già accennato precedentemente, ma solo in seguito la parola terrorista o terrorismo, assume un significato ingiurioso, identificando una condotta o personaggi dediti ad attività criminali.

Attualmente necessità universalmente sentita, è quella di dare al “fenomeno terrorismo”, una definizione  accettata e recepita da tutti i Stati nazione. Si è alla ricerca di una descrizione in grado di poter rappresentare la “struttura” di detto fenomeno, dove incardinare gli aspetti psico-filosofici e socio-giuridici in una unica figura. Difficoltà questa che accomuna tutta la comunità internazionale, come appena accennato, la quale in ogni modo indirizza ogni sforzo politico e tattico alla repressione delle manifestazioni del fenomeno terrorismo. E’ di comune accordo, comunque, affermare che per terrorismo, nazionale, internazionale o trans internazionale, si intende una forma di conflittualità non convenzionale, che conduce inesorabilmente alla violazione di ogni forma di diritto o principio democratico.

Tale conflittualità si manifesta con atti di violenza criminale fisica o psichica realizzata da organizzazioni spinte da moventi politici, politico-religiosi o politico-sociali, che operano nella assoluta clandestinità. Clandestinità che caratterizza anche gli atti di violenza posti in essere da tali organizzazioni, dandone una netta differenziazione dalle azioni, meglio identificabili con il termine di violenza politica ordinaria.

E’ facile intuire che nessuna definizione, neanche quest’ultima, può essere universalmente condivisa, in quanto ogni forma di terrorismo, si manifesta in Paesi e con modalità che assumono significati differenti. Infatti, il terrorismo è stato visto e considerato come una guerra lecitamente combattuta da “oppressi” contadini, come il compimento di atti “eroici” da parte dei briganti nelle varie regioni italiane. Sino ad arrivare alle guerre civili e rivoluzionarie, combattute per la liberazione nazionale, che hanno posto all’attenzione della comunità internazionale, l’attuale problema di disciplinare di tutti quegli atti di aggressione, considerati leciti, perché commessi per l’“autodeterminazione dei popoli”. Problema questo proprio di alcune regione del Global South, che non lo vede immune, in alcune regioni dello stesso, da atti di resistenza contro le forze di occupazione straniere.

Tutte queste forme di “conflittualità” cosa hanno in comune? Semplice. Si manifestano con l’utilizzo sistematico e tattico del terrore.

Anche l’Italia, come la maggior parte dei Paesi internazionali, ha visto la nascita e l’incrementarsi del fenomeno terrorismo sul proprio territorio. Vittima, quindi, del cosiddetto “terrorismo contemporaneo” e dal più moderno che hanno caratterizzato gli “anni di piombo”.  Anni questi, in cui la contrapposizione asimmetrica di organizzazioni terroristiche di sinistra o di destra, impegnavano lo Stato italiano in una continua attività di difesa da attentati e violenze, il cui scopo era la tanto agognata destabilizzazione del sistema.

Con storica esattezza, si può dire che il terrorismo, ovvero l’era della strategia della tensione in Italia, nasce dalle ceneri di un ordigno esplosivo. Quell’ordigno esplosivo che deflagrava il 12 dicembre 1969, alle ore 16.30 circa, all’interno della “Banca Nazionale dell’Agricoltura” in Piazza Fontana a Milano. Le prime 27 vittime mortalmente colpite e le 88 ferite, sono i primi caduti del fenomeno terroristico in età moderna italiana.

Da questa data, sussegue una escalation di violenza, che ha visto la nascita di organizzazioni terroristiche divenute disgraziatamente famose, dalle famigerate Brigate Rosse (estrema sinistra) ai Nuclei Armati Rivoluzionari (estrema destra) e così il sorgere di tante sigle dietro le quali operavano in piena clandestinità “soldati” della rivoluzione.

La conoscenza delle varie forme di terrorismo e delle varie organizzazioni operanti in Italia dagli anni ’60 in poi, hanno consentito alla Magistratura e alle Forze di Polizia, di poter indagare e quindi giungere allo smantellamento delle suddette aggregazioni clandestine. Opera di contrasto supportata dalla promulgazione di “leggi speciali”, che hanno fornito utili ed efficaci strumenti agli inquirenti per l’espletamento delle attività info-investigative.

Nel tempo, quindi, si acquisivano nuovi elementi conoscitivi sul “nuovo” avversario e sulle tecniche operative dello stesso, dalle procedure organizzative alle forme di finanziamento delle organizzazioni. Patrimonio informativo ed operativo, che attualmente trova, purtroppo, utilità nella contrapposizione con un terrorismo che vede l’Italia impegnata con un fenomeno dalle dimensioni trans nazionale.

Un terrorismo che si adegua al mutato scenario geopolitico internazionale.

Mutamento avvenuto il 9 novembre del 1989 con la caduta del Muro di Berlino; di fatto cade un muro ancora più alto e forte, che ideologicamente divideva il globo terrestre in due grandi blocchi. Così il sorgere di una cortina di ferro che secondo i principi della silenziosa Guerra Fredda nascondeva, appunto, battaglie di intelligence, operazioni sporche e atti di terrorismo tra gli Stati Uniti d’America e di tutti i Paesi aderenti alla N.A.T.O. e dall’altra parte i Paesi della ex Unione Sovietica rientranti nel famigerato Patto di Varsavia.

Con la fine di questo “conflitto mondiale”, il palcoscenico internazionale vede entrare in scena, nuovi attori con nuovi “copioni” da seguire. Nuovi terroristi, per modo di dire, visto che molte aggregazioni terroristiche oggi maggiormente operative, di fatto sorgevano proprio durante l’era della Guerra Fredda, il cui obiettivo è la realizzazione di progetti rivoluzionari in grado di coinvolgere vari Stati nazione in una nuova contrapposizione asimmetrica.

Indubbiamente la minaccia terroristica attualmente fonte di preoccupazione per l’Occidente è rappresentato dal terrorismo cosiddetto Islamico. Una forma di terrorismo dove i dettami clericali non vengono praticati solo come fede, ma vengono di fatto vissuti come una vera e propria ideologia da parte degli adepti di queste organizzazioni clandestine. Da qui l’ideologia raggiunge i connotati del radicalismo religioso che a contatto con la vita politica dei vari regimi teocratici, danno inesorabilmente luce ad una forma di terrorismo la cui matrice diviene politico-religioso.

In modo semplicistico si può tranquillamente affermare che i fondamentalisti islamici, si dedicano ad una guerra (harb حَرب) globale, impropriamente indicata da sempre con il termine jihad (sforzoجِهاد ) per indicare la “guerra santa” combattuta dalla comunità (ummaأُمَّة  ) dell’Islàm per giungere alla vittoria nei confronti di tutti gli infedeli (kafir كافِر). Gli infedeli ideologicamente identificati con tutti gli occidentali e gli alleati del “Grande Satana”, ovvero gli Stati Uniti d’America e lo Stato di Israele.

L’Islàm, quindi, deve rinascere attraverso l’eliminazione dell’occidente e della corruzione portata sul Mondo dalla modernità, principi ispiratori della maggior parte di organizzazioni terroristiche islamiche vicine alla dottrina salafita.

Il mondo religioso musulmano moderato, ovviamente, sostiene che nessuno può promuovere i valori ed i principi dell’Islàm, se lo stesso viola tutte le sue norme fondamentali al fine di raggiungere i propri obiettivi politici.

Anche in questo caso, la conoscenza, lo studio e la comprensione di un mondo tanto affascinante quanto nuovo per gli “occidentali”, è di vitale importanza per definire strategie di contrasto contro una forma di terrorismo di tale entità. Certamente questa affermazione deve trovare concreta applicazione nei confronti di ogni forma di terrorismo o di criminalità organizzata che si manifesti in una Nazione.

Volutamente ci si vuole soffermare sul terrorismo di matrice islamica, aldilà della attualità della minaccia in campo internazionale, come già affermato, ma si vogliono prendere in considerazione le attività asimmetriche e antioccidentali di dette organizzazioni, per meglio comprendere gli strumenti di contrasto che l’Italia e le altre Nazioni hanno adottato nei confronti delle stesse. Particolare attenzione in questo elaborato, verrà posta sulle attività di controllo e repressione di traffici illeciti utilizzati da dette organizzazioni per il loro finanziamento.

Una strategia antiterroristica che a livello internazionale si è concretizzato con l’adozione di convenzioni di carattere speciale, ovvero, disposizioni normative relativi a reati con finalità terroristiche, compiuti a bordo di aeromobili e ogni forma di violazione sulla sicurezza del volo o di installazioni aeroportuali. Convenzioni promosse dall’Organizzazione per l’aviazione civile internazionale (I.C.A.O.) con lo scopo di trovare soluzioni ai vari episodi di sequestro di aeromobili da parte di organizzazioni terroristiche.

Analoga esigenza sorge per rendere maggiormente sicuro il settore della navigazione marittima. L’Organizzazione internazionale marittima mondiale (I.M.O.), infatti, già nel 1988 promuove la sottoscrizione da parte degli Stati membri di una Convenzione per la repressione di ogni atto illecito nell’ambito marittimo. E’ bene ricordare che detta convenzione nasce in seguito al noto sequestro del transatlantico “Achille Lauro” avvenuto nel 1985, da parte di un commando del Fronte per la Liberazione della Palestina.

Tra le Convenzioni generali si annovera la famigerata Convenzione europea per la repressione del terrorismo, con la quale nel 1977 il Consiglio d’Europa a Strasburgo vuole dare una netta differenziazione tra i reati di natura terroristica e quelli di natura politica. Diverse convenzioni di carattere regionale, ma di particolare interesse risulta essere la Convenzione Araba del 1999 dove si determina giuridicamente la differenza tra i reati terroristici con gli atti compiuti dai popoli che lottano per l’autodeterminazione.

Anche il legislatore italiano al fine di garantire la sicurezza del territorio nazionale e degli interessi nazionali all’estero, si è trovato di fronte all’esigenza di promulgare disposizioni legislative idonee al contrasto del fenomeno terroristico, anche, internazionale. Impulso all’adozione di nuove norme è stato dato dal violento attentato terroristico che l’11 settembre 2001 ha colpito gli Stati Uniti d’America organizzato e compiuto dall’Organizzazione terroristica di matrice islamica al-Qai’da.

Con Decreto-Legge Nr. 374 del 18 ottobre 2001 successivamente convertito in Legge 438/2001, il legislatore si adopera ad emanare “Disposizioni urgenti per contrastare il terrorismo internazionale”, aggiornando quanto già contenuto nell’art. 270 bis Codice Penale “Associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico”.

L’art. 270 bis del C.P., quindi, punisce chiunque ponga in essere attività di promozione, costituzione, organizzazione, direzione, finanziamento anche indiretto di associazioni il cui scopo è il compimento all’estero o ai danni di uno Stato estero, di una istituzione o organismo internazionale, atti di violenza su persone o cose, con finalità di terrorismo.

Viene punita, inoltre, anche la condotta di soggetti che offrono “assistenza” agli appartenenti alle organizzazioni terroristiche, ovvero, chiunque garantisce un rifugio o fornisce ospitalità, oppure, mezzi di trasporto o strumenti di comunicazione ai suddetti soggetti.

L’art. 270 bis del C.P. così modificato tende a disciplinare anche le condotte di soggetti possessori o nella disponibilità di sostanze chimiche, biologiche e radioattive.

Il Decreto-Legge Nr. 374 con l’art. 2, come già riportato, inserisce quale circostanza “aggravante” la finalità internazionale del terrorismo, quando gli atti di violenza, appunto, siano diretti ad uno Stato estero, ovvero, di istituzione o organismo internazionale.

Le modifiche apportate all’art. 270 bis, garantiscono un miglioramento nelle modalità operative da adottare per contrastare il terrorismo internazionale, modificano di fatto le disposizioni sulle intercettazioni telefoniche e ambientali, potendo il Procuratore della Repubblica autorizzare anche intercettazioni preventive. Modifiche in tal senso sono state previste anche per le operazioni di perquisizione e per le attività sotto copertura (under cover) operate dalle Forze di Polizia dando maggiori possibilità di successo agli investigatori nell’esecuzione delle attività operative.

L’art. 10 del Decreto-Legge in questione, mira a perfezionare le attività di Collaborazione con i Paesi dell’Europa centrale ed orientale, dove il Ministero dell’Economia e delle Finanze congiuntamente al Ministero dell’Interno, possono prevedere le spese da programmare per le attività di contrasto al fenomeno terroristico.

E’ bene precisare che il legislatore con detto Decreto-Legge, ha realizzato un impianto normativo rispondente alle necessità attuali mirante al perseguimento di organizzazioni in grado di condurre programmi criminosi finalizzati alla realizzazione di atti di terrorismo contro Stati esteri, ma con la assoluta mancanza di finalità di eversione dell’ordine democratico interno. E’ facile intuire la necessità di perseguire organizzazioni terroristiche operanti sul nostro territorio nazionale ma le cui finalità terroristiche erano mirate ad uno Stato straniero, in risposta quindi agli impegni presi a livello internazionale.

Dall’analisi dell’elemento materiale, quindi delle condotte, poste in essere da uno o più soggetti che violano quanto disposto dall’art. 270 bis del Codice Penale, particolare interesse si pone nelle attività collegate al finanziamento dell’organizzazione terroristica. Il legislatore italiano, prima dell’entrata in vigore del Decreto-Legge in questione, pose particolare attenzione a detta attività solo nei reati associativi finalizzati al traffico di sostanze stupefacenti.

Al fine di monitorare, quindi, e contrastare il realizzarsi di flussi economici-finanziari per l’autofinanziamento di organizzazioni terroristiche, il Ministero dell’Economia e delle Finanze con la Legge Nr. 438/2001 istituiva il Comitato di Sicurezza Finanziaria. Il suddetto Comitato è deputato allo svolgimento di ogni tipo di attività mirata a tutelare il sistema finanziario italiano eventualmente “inquinato” da operazioni economiche poste in essere da organizzazioni terroristiche. Qualora ciò avvenisse il Comitato è competente ad emanare provvedimenti mediante i quali si dispone il congelamento dei beni di soggetti o enti in qualche modo collegati con le suddette organizzazioni.

Il Comitato di Sicurezza Finanziaria, inoltre, verifica la corretta applicazione delle sanzioni adottate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, infatti, non va dimenticata la Risoluzione Nr. 54/109 dell’Assemblea Generale che adotta una convenzione nata per la repressione dei finanziamenti a favore di organizzazioni terroristiche.

Allo scopo di meglio monitorare le attività di finanziamento delle organizzazioni terroristiche internazionali e di riciclaggio a livello globale, veniva istituito il G.A.F.I., ovvero il Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale (F.A.T.F. Financial Action Task Force) il quale, inoltre, garantisce una continua cooperazione tra le Nazioni aderenti.

Il G.A.F.I. collabora con diverse organizzazioni internazionali oltre ai sette organismi regionali, quindi con i Supervisori dei Gruppi Bancari Off-Shore, nonché le organizzazioni internazionali che fanno riferimento alle Nazioni Unite, il Gruppo Egmont, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale. Tale struttura opera grazie al famigerato sistema di indicizzazione G.I.A.N.O.S., ovvero, Generazione Indice di Anomalia delle Operazioni Sospette, applicativo in grado di fornire ogni elemento utile agli istituti bancari al fine di “rintracciare” operazioni sospette su qualsiasi conto corrente attivo.

Negli ultimi anni ci si è resi conto che l’autofinanziamento delle organizzazioni terroristiche avviene utilizzando tecniche e canali differenti da quelli utilizzate nel passato da organizzazioni criminali. Quest’ultime, infatti, preferivano far riferimento alla tecnica del “money laundering”, il tanto famigerato riciclaggio di denaro sporco. Il riciclaggio è un sistema che da la possibilità di trasferire denaro o beni la cui provenienza è legata alla commissione di reati, tramite movimentazione che rendono alquanto difficoltosa l’individuazione della loro origine “illecita”. Differentemente le organizzazioni terroristiche preferiscono adottare una nuova tecnica di autofinanziamento, noto con il termine “money dirtyng”, dove vengono utilizzati capitali puliti movimentati sul mercato e successivamente indirizzati a favore di organizzazioni legate alle cellule operative.

E’ oramai noto che le operazioni di riciclaggio danno vita necessariamente alla realizzazione di quattro fattori, che consistono nell’occultamento della vera proprietà, la successiva fase del mutamento della forma del denaro, la cancellazione di ogni traccia delle operazioni di “lavaggio” e ultima fase un monitoraggio continuo del denaro sottoposto al riciclaggio.

Il fisiologico congiungimento delle suddette fasi, rendono possibile dare avvio al vero e proprio procedimento trifasico del riciclaggio di denaro sporco. L’organizzazione criminale, infatti, come primo passo dispone il “collocamento” dei proventi di reato facendo ricorso ad intermediari finanziari, rendendo possibile quindi l’immersion del denaro sporco. La seconda fase consiste nell’operazione che tecnicamente viene definita stratificazione, ovvero, “lavare” (heavy soap) i proventi illeciti in modo da rimuovere qualsiasi traccia di collegamento tra i capitali riciclati e quindi le attività dell’organizzazione criminale. Tale operazione rende estremamente difficile il lavoro info-investigativo delle Forze di Polizia, visto che il lavaggio di denaro sporco avviene, come detto, tramite una serie di operazioni, numericamente elevato, che rende praticamente impossibile “individuare” l’origine dei fondi su cui si indaga.

Il denaro, oramai lavato, viene integrato nel circuito legale, facendo uso di sistemi finanziari legali come acquisto di beni immobili o imprese; pertanto il denaro viene centrifugato e non essendo più possibile definire la reale origine degli stessi, pulita o sporca, viene utilizzato dalle organizzazioni criminali per i propri scopi.

Le organizzazioni con finalità terroristiche adottano tecniche di finanziamento, similari a quelle utilizzate dalle organizzazioni criminali, infatti, anche in questo caso si realizza un procedimento costituito da tre fasi.

Nella prima fase il denaro viene “raccolto”, in gergo tecnico avviene la cosiddetta “collection”, che consente la successiva “trasmissione o occultamento” dei fondi da rigenerare. In detta fase la necessità principale delle organizzazioni terroristiche è quella, appunto, di nascondere le movimentazioni del denaro, utilizzando istituti finanziari di pagamento e trasferimento di tipo “sotterraneo”, come il noto sistema della hawala (حَوالة), di cui in seguito se ne propone una analisi dettagliata.

Il denaro, o qualsiasi bene utilizzabile sul mercato, giunto alla terza fase viene “impiegato” per finanziare gli atti terroristici, quindi, dedicare i “nuovi fondi” alle operazioni di preparazione e pianificazione dei progetti rivoluzionari. Le autorità di controllo hanno determinato, inoltre, che le organizzazioni terroristiche oltre ad utilizzare tecniche di riciclaggio per il loro autofinanziamento, acquisiscono capitali di denaro attraverso operazioni economiche del tutto legali, il “money dirting”. Da qui è facile stabilire che a differenza delle organizzazioni criminali, le quali utilizzano tecniche di riciclaggio con il fine di produrre ricchezza oltre che di ripulire il denaro sporco, il finanziatore del terrorismo, di contro, immette denaro nel mercato aperto e quindi non lo produce.

La conoscenza delle tecniche di finanziamento da parte di dette organizzazioni, hanno reso possibile nel tempo, anche lo studio e l’applicazione di idonei strumenti di contrasto, per meglio preservare l’integrità del sistema finanziario. Le indagine delle Forze di Polizie impegnate nell’individuazione delle organizzazioni terroristiche internazionali, hanno dato la possibilità di stabilire che i fondi adoperati dalle stesse per finanziare le loro operazioni, vengono raccolti in Paesi dove nessuna missione pianificata verrà mai portata a termine. Il tutto per meglio garantire la sicurezza delle cellule operative, riuscendo nella stragrande maggioranza delle volte, ad eludere i vari sistemi di controllo sfruttando il fenomeno dell’integrazione globale dei mercati finanziari.

La movimentazione dei capitali finanziari avviene sempre più spesso, utilizzando sistemi informatici, anche grazie all’avvento dei sistemi banking on-line, che consentono anche l’investimento di capitali. Ciò conferma anche la preferenza da parte delle organizzazioni terroristiche, di utilizzare i canali legali, quindi le banche, per movimentare i fondi vista la riservatezza garantita dagli istituti finanziari. Nel contempo, bisogna ricordare che esistono vari intermediari finanziari disposti a garantire le proprie prestazioni in modo illegale alle organizzazioni terroristiche, basti pensare ai cosiddetti Paesi off-shore dove vigono regolamenti bancari molto indulgenti e quindi favoriti da società o enti in qualche modo collegati con le suddette aggregazioni. In questo caso i regolamenti bancari, forniscono agli investitori interessati, la possibilità di eseguire operazioni in grado di “blindare” i propri conti e quindi inattaccabili da parte delle autorità inquirenti impegnati in azioni di verifica.

Una volta aperti depositi monetari in Paesi off-shore, le organizzazioni terroristiche hanno necessità di trasferire i fondi utilizzando modalità sicure ed estremamente veloci, basti pensare che nell’arco di 24 ore i suddetti capitali  possono essere movimentati ben 80 volte. Come già precedentemente accennato, internet rappresenta un efficace strumento, in grado di offrire vari mezzi, come i bonifici interbancari internazionali o l’internet-banking, ma non vanno dimenticati i più tradizionali Money Transfer, che ancora oggi sono diffusamente utilizzati a tale scopo.

I fondi di investimento off-shore, quindi, oltre ad essere una forma di investimento vero e proprio, costituiscono a tutti gli effetti un sicuro mezzo per veicolare capitali verso società collegate ad una organizzazione terroristica. Esempio pratico è il caso in cui una società “pulita” gestisce un fondo finanziario, e la stessa sia di fatto collegata a cellule o direttamente alla organizzazione centrale terroristica, fornendo a questi un valido e sicuro sostegno economico. La società pulita, quindi, si impegna in investimenti finanziari con altre società collegate in modo indiretto con l’organizzazione terroristica, potendo in tal modo eludere i vari controlli e nel contempo fa accrescere i fondi con modalità del tutto legali. Basti pensare alle attività imprenditoriali di cui l’organizzazione al-Qai’da era titolare nel Sudan, dedicate in investimenti sulla produzione e lavorazione della gomma arabica esportata negli altri Paesi. Periodo, questo, coincidente con il “ripiegamento” di Osama bin Laden nello stato africano, in seguito all’espulsione dal Regno dell’Arabia Saudita. L’appoggio politico del Presidente sudanese Omar Hasan Ahmad al-Bashir, diede la possibilità agli “imprenditori” dello sceicco del terrore, la costituzione di fondi dalle entità esorbitanti, prodottesi senza attirare l’attenzione degli organi di controllo internazionali.

Quando si fa riferimento ad organizzazioni terroristiche cosiddette islamiche, non si può non fare riferimento alle tradizionali modalità utilizzate, per la costituzione di fondi e del loro successivo trasferimento, e quindi alla Zakat e alla Hawala.

La Zakat (زَكاة), rappresenta il terzo pilastro dell’Islam (arkan al-Islàm) ovvero uno dei cinque principi fondamentali sui cui si basa la religione musulmana. Il sacro Corano definisce la zakat come il debito verso Dio, elemosina che ogni buon musulmano deve elargire per la “purificazione” della propria ricchezza. In realtà la zakat, oltre ad essere una vera e propria manifestazione di generosità nei confronti dei fratelli musulmani più bisognosi, acquisisce le connotazioni di una tassa, infatti, il Corano stabilisce addirittura le categorie di persone sottoposte a tale obbligo. L’entità della zakat corrisponde al 2,5% annuo del capitale in eccesso, a quello necessario per i bisogni primari del fedele musulmano. Ogni musulmano, oltre alla zakat, ha la facoltà e non obbligo di versare la sadaqah (صَدَقة), altra forma di beneficenza elargita dal fedele con lo scopo di ottenere un’aggiuntiva ricompensa da Dio.

Il denaro accumulato nel rispetto dei dettami coranici appena citati, di fatto danno la possibilità di accantonare notevoli capitali, gestiti direttamente dalle moschee o da enti religiosi di beneficenza, senza che vi sia la possibilità di “tracciare” la loro movimentazione, dall’origine alla destinazione finale. Da attività investigative dei vari Servizi di Informazione e Sicurezza occidentali, posti in essere dopo l’11 settembre 2001, si è giunti alla constatazione che solo nel Regno dell’Arabia Saudita, con il sistema della zakat, in un anno gli enti caritatevoli sono in grado accumulare capitali di circa 4 miliardi di dollari. Capitali lecitamente raccolti che in diverse occasioni sono stati utilizzati per il finanziamento illecito di organizzazioni terroristiche islamiche.

Riguardo i cosiddetti circuiti informali utilizzati per il trasferimento di capitali, società ed enti collegate ad organizzazioni terroristiche, utilizzano l’istituto della hawala (حَوالة). Detto sistema consiste nell’affidare somme di denaro a soggetti che fungono da mediatori, il cui compito è quello di recapitarlo direttamente a determinati destinatari. E’ facile intuire che il sistema dell’hawala non ha bisogno di uffici o succursali, in grado di operare senza dipendenti o conti correnti da attivare e gestire. Detto istituto è una organizzazione ben collaudata, costituita da una notevole catena di uomini in grado di spostare capitali in tutto il globo, avendo bisogno solo di indirizzi e numeri di telefono, per portare a termine in modo “coperto” il trasferimento di fondi.

Sistema molto semplice da utilizzare ma nel contempo molto difficile da tracciare, considerando che il denaro non lascia mai il paese in cui si trova. Infatti, basti pensare che un uomo dal Pakistan potrebbe chiamare il suo contatto a Londra informandolo che si presenterà un suo uomo fidato, al quale il primo dovrà consegnare una determinata somma di denaro. Il contatto londinese esegue quanto richiesto dal suo conoscente pakistano. Nel frattempo in Pakistan un esponente dell’organizzazione terroristica rende la medesima somma di denaro ad un parente o amico del contatto londinese, che ha semplicemente anticipato il denaro.

Da accertamenti esperiti dai consulenti della Banca Mondiale, grazie ai circuiti informali, come l’hawala, in tutto il mondo si è in grado di movimentare in un anno circa 100 miliardi di dollari, e dal nostro Paese circa 6 miliardi di euro l’anno risultano in uscita.

Come visto, la vita della comunità islamica viene quotidianamente disciplinata dai dettami del sacro testo del Corano (al-Qur’an ألقُرآن الكَريم), influenzando i vari settori della stessa, persino quello economico-finanziario. Anche le operazioni di carattere finanziario, quindi, vengono regolamentate dalla Shari’a (شَرِيعة), il diritto islamico. In considerazione del fatto, come sopra già riferito, le organizzazioni terroristiche cosiddette islamiche utilizzano sistemi puliti per il riciclaggio e il trasferimento di capitali, e quindi mediante istituti bancari, è bene conoscere gli elementi principali che caratterizzano la Finanza Islamica. Ciò anche in relazione ai continui rapporti commerciali del mercato finanziario occidentale con quello medio orientale che hanno reso, quindi, possibile un doveroso, e al contempo conveniente, adeguamento del primo, ai dettami coranici che disciplinano il sistema delle Islamic Bank. Il Profeta Muhammad dettò alla comunità islamica, insegnamenti sul  giusto e pio utilizzo del denaro e dei propri averi, gli stessi che oggi continuano ad influenzare la vita economica islamica.

E’ bene precisare che gli strumenti finanziari islamici, noti anche con  il termine Shari’a compliant financing, pongono le proprie basi su cinque principi che consentono il compimento di qualsiasi attività imprenditoriale o la conclusione di accordi bilaterali sempre entro determinati limiti.

Il primo di questi è la proibizione dell’interesse (ribà رِبح) il cui scopo è quello di prevenire forme di sfruttamento nel rispetto di principi di equità e giustizia sociale, in ogni tipo di transazione o pratica finanziaria. Tale limite sancisce che non può esserci nessun guadagno senza rischio, considerando l’interesse non come una remunerazione per il differimento dell’attività di consumo. I Paesi islamici, non potendo accettare prestiti da parte di istituzioni internazionali, come ad esempio la Banca Mondiale, visto che su di essi gravano interessi, si rese necessaria l’istituzione di un organismo sopranazionale. Nel 1973 a Latore, infatti, l’Organizzazione della Conferenza islamica istituì l’Islamic development Bank.

Tra i suddetti limiti vengono disciplinati, inoltre, il divieto dell’incertezza (ghàrar) e della speculazione (maysìr). L’incertezza intesa come rischi nelle condizioni contrattuali non è lecita, tranne nel caso in cui gli stessi siano specificatamente noti alle parti contraenti. A differenza dell’interesse, il cui divieto è sempre assoluto, il ghàrar è proibito solo se è di entità rilevante. Per maysìr, invece, si intende il tentativo di scommessa sul risultato futuro di un evento.

E’ prevista l’applicazione del metodo del profit and loss sharing con il quale si prevede il rifiuto di ricevere un ritorno determinato a priori su una attività finanziaria. Da qui la necessità di optare per metodi alternativi al fine di garantire un rapporto rischio-rendimento in rispetto a principi di equità, dando vita al principio di partecipazione/condivisione ai profitti e alle perdite. Detto principio è una caratteristica propria della finanza islamica che trova pratica applicazione in tutti i contratti (mudàraba مُضارَبة e mushàraka مُشَارَكة ) utilizzati in diversi strumenti finanziari.

La Shari’a disciplina anche ogni forma di investimento, dove un musulmano qualora intenzionato deve rispettare anche in questo caso determinate condizioni. Sono, infatti, proibiti investimenti in imprese che operano in settori considerati non rispondenti al principio coranico halal (lecito حلال), quindi imprese o aziende per la produzione dell’alcool, della pornografia, del gioco d’azzardo, nonché della produzione, macellazione e distribuzione di carne di maiale, della produzione e trasformazione di tabacco. Sottoposti a detto limite anche tutti gli istituti finanziari convenzionali come banche e compagnie assicurative, nonché tutte quelle aziende acquisiscono sopravvenienze attive da interessi bancari superiori al 5% delle entrate, sempre ché non destinate a scopi sociali.

La finanza islamica moderna ha trovato massima diffusione in ambito internazionale già dai primi anni ’70, e ad oggi il solo mercato delle obbligazioni islamiche (sukuk) vede impegnati un centinaio di emittenti corporate e pubbliche, la cui dimensione attuale si aggira intorno ai 100 miliardi di dollari annui. Parametro, questo, di fondamentale importanza per meglio comprendere le infinite possibilità che una organizzazione terroristica cosiddetta islamica ha di introdursi legalmente nel mercato e acquisire fondi.

Da considerare, inoltre, che vi sono Stati in cui il sistema finanziario è totalmente islamizzato, come l’Iran, il Sudan ed il Pakistan, dove parallelamente esistono organizzazioni terroristiche di matrice islamica che indubbiamente hanno instaurato “legami” con gli stessi. In altri paesi, come Libia e Marocco, le banche islamiche rappresentano dei propri e veri collegamenti con i partiti politici islamici. Attualmente molte Nazioni islamiche e del mondo occidentale hanno promosso progetti di apertura nei confronti della finanza islamica, infatti, molti istituti internazionali hanno attivato agenzie e sportelli islamici che operano nel pieno rispetto dei dettami della Shari’a. La finanza islamica prende sempre più piede in Europa, basti pensare alle iniziative in tal senso intraprese dalla BNP Baripas, dalla Barclays o dalla Citibank.

Come già precedentemente riferito, il G.A.F.I. svolge un importantissimo compito di sorveglianza e contrasto al riciclaggio e al finanziamento di organizzazioni terroristiche, ed una conoscenza mirata della finanza islamica, non può che dare dei vantaggi nell’individuazione di flussi illegali di denaro da queste utilizzati.

I legislatori di molte Nazioni, nel tempo hanno promulgato leggi e disposizioni normative che hanno dato la possibilità di adeguare le suddette verifiche, basti pensare che la Comunità Europea, emanava le Direttive Nr. 91/308/CEE e Nr. 2001/97/CE, avente per oggetto la “Prevenzione dall’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività illecite”.

A queste va aggiunta la Direttiva 2005/60/CE “Prevenzione dall’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio e di finanziamento al terrorismo” ampliando in campo di applicazione, come facilmente intuibile dal titolo, anche sulle organizzazioni terroristiche.

Analoghe iniziative venivano intraprese anche al di fuori della Comunità Europea, ne è un esempio la “Dichiarazione dei principi sulla prevenzione dall’uso illecito del sistema bancario a fini di riciclaggio” approvato dal Comitato di Basilea. Detta iniziativa veniva intrapresa con lo scopo di incrementare la sorveglianza interbancaria in aggiunta alle Raccomandazioni emanate dal G.A.F.I. e dalle Convenzioni ONU di New York sottoscritte nel 1999 per la “repressione del finanziamento internazionale al terrorismo”. Ma il Consiglio d’Europa già nel 1990, con la riunione tenutosi a Strasburgo, emanava regole per contrastare il riciclaggio ma anche per attivare la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi illeciti delle organizzazioni terroristiche. Normative che hanno trovato immediata applicazione nella attività investigativa degli organi competenti, in seguito all’attentato terroristico che nel 1993 per la prima volta ha visto come obiettivo il World Trade Center di New York, nonché gli attentati catastrofici alle sedi diplomatiche degli U.S.A. in Kenya e Tanzania nel 1998; solo dopo due anni l’attacco al cacciatorpediniere USS Cole della marina americana, ormeggiato nel porto di Aden. Atti terroristici, questi, realizzati da organizzazioni terroristiche di matrice islamica, legate ad al-Qai’da, che nel tempo hanno accumulato ricchezze servite al finanziamento dei suddetti attentati.

Ma l’attentato terroristico dell’11 settembre 2001 al cuore degli Stati Uniti d’America, ha spinto il mondo intero a stanare l’organizzazione di Osama bin Laden, ancora una volta organizzatore e finanziatore della suddetta catastrofe. Obiettivo condiviso anche dall’Unione Europea, che allo scopo di colpire in modo più diretto le organizzazioni e gli enti operanti per il finanziamento del regime islamico dei Talebani in Afghanistan, con il Regolamento Nr. 1354/2001, imponeva il congelamento dei capitali nella disponibilità del suddetto regime. Veniva imposto, inoltre, ai Stati membri il divieto di esportazione di merci e servizi nello stesso Afghanistan.

L’Unione Europea continua ad emanare disposizioni regolamentari con lo scopo di applicare misure restrittive in modo più diretto nei confronti dell’emiro saudita Osama bin Laden. Infatti, questi supportava economicamente e militarmente il regime dei Talebani, in cambio di “ospitalità” nel neonato califfato, dove al Qa’ida e i suoi seguaci avevano nel frattempo riorganizzato la propria struttura di comando.

Gli Stati Uniti d’America, purtroppo, non sono l’unico obiettivo di Al-Qai’da. Nel marzo del 2004, infatti, anche la Spagna viene colpita da un attentato nella capitale Madrid. Reazione dell’Unione Europea si è concretizzata con la sottoscrizione di una “Dichiarazione sulla lotta al terrorismo” adottata dai capi di Stato e di Governo aderenti, dopo le riunioni del 25 e 26 marzo 2004, seguite dalla creazione di un “Piano d’azione per combattere il terrorismo”.

Come nel resto d’Europa, anche l’Italia, fa la sua parte. Amaramente bisogna ammettere che il nostro Paese è da diversi decenni, teatro di manifestazioni violente poste in essere da organizzazioni criminali di tipo mafioso, nonché da parte di strutture dedite a forme di terrorismo interno ed internazionale.

Da questa duratura contrapposizione, le autorità giudiziarie e le Forze di Polizia italiane, hanno acquisito una esperienza operativa, tale da trovarsi in netto vantaggio nell’individuare e contrastare le tecniche di riciclaggio di denaro illecito, rispetto ad altre Nazioni.

Il legislatore italiano, infatti, ha tempestivamente adattato la già esistente normativa antimafia e antiriciclaggio per gli operatori bancari e finanziari con riferimento alle operazioni sospette di finanziamento di strutture terroristiche. In quest’ottica veniva recepita nell’ordinamento italiano, la sopracitata Direttiva 2005/60/CE, infatti con il Decreto Legislativo Nr. 109 del 22.06.2007 si emanano “Misure per prevenire, contrastare e reprimere il finanziamento del terrorismo e l’attività dei Paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale”.

Dallo studio del decreto legge si nota come l’attenzione del legislatore viene posta, immediatamente, sulla necessità di tracciare i flussi finanziari diretti alle organizzazioni terroristiche. La spiegazione è data da quanto sopra sinora esposto, difatti, solo una attenta attività info-investigativa da la possibilità di seguire l’iter del denaro sporco per giungere alla destinazione finale, ovvero le cellule operative.

Il finanziamento illecito di organizzazioni terroristiche, si può combattere solo dopo aver individuato gli appartenenti alle stesse, grazie alla creazione e alimentazione delle famigerate black list, per poter applicare le dovute sanzioni o provvedimenti nei confronti di questi.  

Dette liste vengono aggiornate con cadenza semestrale da parte di preposti organi del Consiglio Europeo, solo in seguito ad accurati accertamenti esperiti nei confronti di soggetti o organizzazioni sospettati di appartenere al mondo terroristico.

Per quanto riguarda l’Italia, le liste vengono aggiornate e proposte al Consiglio Europeo, da parte del Comitato di Sicurezza Finanziaria, operativo presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze. Il citato Comitato, al fine di aggiornare le suddette liste, svolge accurate attività istruttorie con il necessario appoggio della Banca d’Italia, il cui compito è raccogliere ed analizzare tutte le informazioni utili su operazioni considerate sospette, nonché, accertare la fondatezza delle segnalazioni ricevute.

Con l’iscrizione di persone o organizzazioni nelle black list, si procederà al “congelamento” di fondi o ogni altra forma di disponibilità economica, appartenenti a questi. Il congelamento assume valenza giuridica solo dopo l’entrata in vigore del regolamento comunitario o del decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che attua la decisione dell’Onu. Da qui si attivano in fasi successive, ben quattro organi; ovvero, l’Unità di Intelligence Finanziaria, il cui compito è verificare l’effettivo congelamento dei fondi. Successivamente interverranno gli intermediari finanziari, competenti per l’adozione delle misure applicative del congelamento. Il Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza, in terza battuta, ha il compito di notificare agli interessati l’avvenuto congelamento dei loro fondi ed ultima fase vede l’attivazione dell’Agenzia del Demanio, incaricata di custodire ed amministrare i capitali sottoposti al congelamento.

 

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